Home Hamas dice no a tregua proposta da trump: israelia pronta a cessate il fuoco temporaneo ma conflitto resta aperto

Hamas dice no a tregua proposta da trump: israelia pronta a cessate il fuoco temporaneo ma conflitto resta aperto

Lo scontro tra Israele e Hamas continua nonostante la proposta di tregua di 60 giorni avanzata da Steve Witkoff, con tensioni elevate e difficoltà nella gestione degli ostaggi.

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Il conflitto tra Israele e Hamas resta acceso nonostante una proposta di tregua di 60 giorni accettata da Israele ma rifiutata da Hamas; la crisi è aggravata dalla gestione degli ostaggi, dall’espansione israeliana in Cisgiordania e dalla grave situazione umanitaria a Gaza. - Unita.tv

Lo scontro tra Israele e Hamas resta acceso nonostante i tentativi diplomatici. L’inviato inviato da Trump, Steve Witkoff, ha presentato una proposta di tregua di 60 giorni, con la possibilità di aprire negoziati ma senza escludere un ritorno alle armi. Israele ha accettato l’ipotesi, mentre Hamas ha respinto la proposta, ritenendola insoddisfacente. Le tensioni sul terreno, le difficoltà nella gestione degli ostaggi e le manovre sul territorio continuano a tenere alta la crisi.

Proposta di tregua e posizioni di israele e hamas

La proposta avanzata da Steve Witkoff prevedeva un cessate il fuoco temporaneo di 60 giorni, durante il quale si sarebbero potuti avviare negoziati e gestire la liberazione di dieci ostaggi vivi. Israele si è dichiarata disponibile ad accettare questa tregua limitata, considerandola un’opportunità per riorganizzare le truppe e consolidare posizioni. L’intento di Tel Aviv non è mai stato quello di porre fine al conflitto, ma solo di guadagnare tempo.

Dall’altra parte, Hamas ha mostrato incertezza, tra una possibile apertura e un netto rifiuto. L’organizzazione palestinese ha ribadito la sua richiesta di porre fine alla guerra, quindi la proposta americana non è stata ritenuta sufficiente. La differenza di prospettiva è netta: mentre Israele vuole eliminare completamente Hamas prima di un qualsivoglia accordo, Hamas cerca un cessate il fuoco duraturo tipo di quelli già negati in passato. Il dialogo appare quindi stranito da premesse contrastanti e interessi opposti.

Ostaggi e difficoltà nella loro gestione

Tra i tanti nodi irrisolti c’è il destino degli ostaggi. Secondo fonti diverse, Hamas avrebbe al momento tra i 9 e i 10 ostaggi vivi sotto controllo, più decine di corpi di vittime da consegnare. Ma le cifre reali sarebbero più alte: si parla di almeno 24 persone ancora vive, qualcun altro dice 26. La difficoltà di recuperare tutti gli ostaggi è legata ai bombardamenti, alle condizioni di scarsità di cibo e alle tensioni all’interno della stessa Gaza.

Molti ostaggi sarebbero sparsi o indeboliti, non facilmente rintracciabili. Questo rende difficile per Hamas presentare una contropartita reale per la pace o anche solo un armistizio. Per il momento, sembra che i pochi ostaggi disponibili siano l’unica base di partenza per una possibile trattativa. Senza i rimanenti ostaggi, ogni proposta perde corpo.

Politica israeliana e nuove colonie in cisgiordania

Nonostante la disponibilità a una tregua temporanea, Israele continua a portare avanti la sua espansione in Cisgiordania. Secondo quanto riferito dal generale Vincenzo Giallongo, l’apertura di 22 nuovi insediamenti dimostra che Tel Aviv non vuole fermare la propria politica di occupazione. La costruzione di colonie è un segno della volontà di estendere il controllo su quel territorio e di negare la nascita di uno Stato palestinese autonomo.

Questa strategia contraddice in modo netto ogni tentativo di pace stabile. La crescita degli insediamenti rende molto difficile un accordo duraturo e mette in evidenza le priorità israeliane: mantenere il controllo dei territori conquistati e impedire la costituzione di un governo palestinese indipendente.

Motivo del sì israeliano alla tregua e strategia americana

Israele avrebbe accettato la tregua anche sotto pressione degli Usa, cui interessa mostrare unità tra gli alleati. Secondo gli esperti, il consenso israeliano può essere visto come una mossa tattica, più che una concessione vera. Ci si riserva la possibilità di non rispettare l’intera durata del cessate il fuoco e di riprendere le operazioni militari se lo scenario si evolve.

Gli Stati Uniti, con l’inviato Witkoff, cercano così di mantenere un ruolo di mediatore nella crisi, ma la sostanza politica è complessa. La tregua appare più un segnale diplomatico che un vero cambiamento sul terreno. L’obiettivo americano sembra quello di congelare temporaneamente le ostilità in modo da controllare il conflitto senza fermarne la dinamica.

Ostacoli veri alla pace e approccio alle vittime civili

Le trattative tra Israele e Hamas si arenano su pochi nodi irrisolvibili. Il parallelo con il confronto tra Iran e Stati Uniti evidenzia quanto sia difficile trovare un terreno d’intesa. Israele, pur dichiarando un’apertura agli aiuti umanitari, limita severamente i corridoi per la distribuzione dei rifornimenti nella Striscia di Gaza.

L’Onu ha evidenziato come le postazioni autorizzate per l’entrata degli aiuti si siano ridotte da 400 a solo 4, restringendo l’assistenza medica e alimentare. Le immagini mostrano scene di sofferenza, con donne che cercano cibo tra i rifiuti e bambini che patiscono pesantemente la fame. Questo quadro non fa altro che alimentare la crisi umanitaria e irrigidire le posizioni di Hamas, che continua a rispondere con azioni militari.

Ragioni della continuità del conflitto e prospettive future

Nonostante il peso delle sofferenze e le pressioni internazionali, la guerra tra Israele e Hamas non sembra vicino a una fine. Per Netanyahu, una vittoria militare serve anche per salvare la propria posizione politica interna. Eliminare Hamas resta la priorità.

In realtà è improbabile che l’organizzazione palestinese venga sconfitta definitivamente. Il conflitto è destinato a un proseguimento irregolare, con attacchi irregolari e azioni di guerriglia. Israele dovrà abituarsi a confrontarsi con minacce costanti sul proprio territorio o contro i coloni. La situazione rimane quindi instabile, e ogni tregua potrà durare solo finché lo permetteranno gli equilibri politici e militari.