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quando l’intelligenza artificiale diventa fumo: il fenomeno dell’Ai-Washing tra startup e big tech

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L’intelligenza artificiale è la parola d’ordine del momento, ma dietro a tante promesse si nasconde un problema crescente: l’Ai-Washing. Aziende che millantano capacità AI inesistenti o esagerate per attirare investimenti e clienti. Scopriamo come funziona questo fenomeno, con esempi concreti e cosa sta facendo il mercato per difendersi.

L’inganno dell’Ai-Washing: quando l’intelligenza artificiale è solo una facciata

Il termine Ai-Washing nasce dall’idea di “greenwashing” o “sportswashing”: usare una narrazione accattivante ma ingannevole per migliorare la reputazione. Nel caso dell’intelligenza artificiale, molte aziende dichiarano di usare tecnologie avanzate che in realtà non possiedono o usano in modo marginale.

Questo trucco serve a gonfiare valutazioni, raccogliere milioni dagli investitori e attirare clienti con promesse tecnologiche irrealistiche. È marketing mascherato da innovazione, con rischi economici e reputazionali enormi.

il caso Builder.Ai: l’assistente AI che nascondeva 700 sviluppatori in India

Fondata nel 2016 da Sachin Dev Duggal, Builder.Ai si presentava come la piattaforma che avrebbe reso lo sviluppo software “facile come ordinare una pizza”. Al centro c’era Natasha, un presunto assistente AI capace di creare app da zero.

Ma indagini di Business Standard, India Today e Financial Times hanno smascherato la verità: Natasha era solo una copertura. Il lavoro veniva fatto manualmente da circa 700 ingegneri in India, nascosti dietro script studiati per far sembrare tutto automatico.

Il Financial Times ha paragonato questa situazione al “Mechanical Turk”, un automa del XVIII secolo che sembrava giocare a scacchi ma nascondeva un uomo dentro. Una metafora perfetta per descrivere soluzioni pseudo-AI dove il lavoro umano è mascherato da tecnologia.

Oltre alla finzione tecnologica, Builder.Ai è accusata di aver gonfiato le previsioni di fatturato da 50 a 220 milioni di dollari nel 2024 usando pratiche dubbie come il “round-tripping” di fatture con VerSe Innovation per circa 180 milioni di dollari.

A maggio 2025 il castello è crollato: un creditore ha sequestrato 37 milioni di dollari e Builder.Ai ha dichiarato fallimento. Sono stati licenziati oltre mille dipendenti e rimangono milioni di debiti con Amazon e Microsoft per servizi cloud non pagati. Ex dirigenti come Robert Holdheim hanno denunciato l’azienda per cinque milioni di dollari sostenendo che i sistemi AI erano quasi inutilizzabili.

La SEC entra in campo contro le false promesse sull’intelligenza artificiale

Il caso Builder.Ai non è isolato. A fine maggio 2025 la U.S. Securities And Exchange Commission ha multato due società d’investimento americane, Delphia e Global Predictions, per aver pubblicizzato falsamente l’uso dell’intelligenza artificiale nei loro servizi finanziari.

Delphia sosteneva di prevedere trend aziendali grazie alL’Ai; Global Predictions si definiva “il primo consulente finanziario regolamentato basato sull’AI”. In realtà nessuna delle due usava tecnologie AI reali nelle modalità annunciate.

Le multe complessive sono state pari a 400 mila dollari. Gary Gensler, presidente della SEC, ha sottolineato che queste pratiche “danneggiano gli investitori perché creano aspettative false su capacità tecnologiche inesistenti”.

Gurbir Grewal, direttore dell’applicazione normativa della SEC, ha aggiunto che chi dichiara uso delL’Ai deve assicurarsi che sia vero e trasparente; le società pubbliche devono fare altrettanto senza ingannare il mercato.

Meta Punta Su Scale Ai ma dietro c’è ancora tanto lavoro umano

Mentre alcuni casi mostrano frodi evidenti, altre operazioni sono più sottili ma ugualmente strategiche. Meta sta trattando l’acquisizione del 49% di Scale Ai per circa 15 miliardi di dollari.

Scale Ai è leader nella data annotation: etichetta dati essenziali per addestrare modelli d’intelligenza artificiale avanzata. Il fondatore Alexandr Wang guiderà anche un nuovo super-laboratorio Meta dedicato alla cosiddetta superintelligenza artificiale generale .

Reinforcement learning from human feedback: quando i dati umani fanno la differenza

Dietro Scale Ai c’è però una realtà fatta soprattutto da persone: circa 100 mila freelance lavorano a basso costo etichettando dati fondamentali per migliorare i modelli AI tramite il cosiddetto RLHF .

Questa pratica diventa sempre più centrale man mano che i dati disponibili gratuitamente si esauriscono o diventano meno utili. Ma ci sono problemi sul fronte dei diritti dei lavoratori; negli Stati Uniti il Dipartimento Del Lavoro ha contestato la classificazione errata degli operatori come indipendenti privandoli delle tutele base . Anche se senza sanzioni ufficiali restano cause legali aperte contro Scale Ai.

Il cofondatore Openai Ilya Sutskever ha parlato del rischio imminente del “picco dei dati”, simile al picco del petrolio sulla Terra: presto sarà più difficile trovare dati nuovi e puliti su cui addestrare modelli efficaci.

L’hype dell’intelligenza artificiale spinge verso illusioni collettive

Un report internazionale sul rapporto tra tecnologia e lavoro mostra come in un anno le aziende senza alcuna tecnologia AI siano passate dal 34% al solo 15%. Questo indica un cambiamento forte ma anche una pressione enorme sulle imprese ad adottare almeno qualche forma d’intelligenza artificiale.

In questo clima cresce il rischio che molte aziende esagerino o inventino le proprie capacità tecnologiche solo per non restare fuori dal trend competitivo globale. Anche chi usa davvero L’Ai può essere spinto verso comportamenti opportunistici fino all’Ai-Washing vero e proprio.

Non sempre però integrare intelligenza artificiale porta valore reale ai clienti o dipendenti. Klarna ne è esempio recente: dopo aver automatizzato gran parte del customer service con chatbot basati su IA ha dovuto tornare ad assumere operatori umani perché gli utenti erano insoddisfatti della qualità del servizio automatico.

Tra illusioni digitali e realtà economica fragile

L’intelligenza artificiale rischia così diventare una buzzword vuota come Blockchain o Nft: evocata ovunque ma poco capita davvero nei suoi limiti reali ed economici.

Molti modelli business basati Sull’Ia mostrano fragilità strutturali evidenti: costi elevati insostenibili senza incentivi temporanei; dipendenza da investimenti a fondo perduto; assenza ancora chiara di strategie solide per monetizzare davvero le soluzioni proposte sul mercato.

Studi recentissimi Mckinsey confermano che la maggior parte delle aziende resta ancora in fase sperimentale con ritorni disomogenei spesso inferiori alle attese iniziali.

Perché allora continuare a credere nell’intelligenza artificiale? Perché resta uno strumento potentissimo se usata responsabilmente con trasparenza operativa reale; modelli economici sostenibili; metriche chiare capaci di misurare impatti concreti sui processi aziendali e sulle persone coinvolte ogni giorno nel suo utilizzo quotidiano.

Serve meno hype e più verità nel mondo dell’intelligenza artificiale

In conclusione serve più accountability ora che aspettative altissime rischiano davvero di superare risultati concreti raggiunti finora dalle aziende tech grandi o piccole impegnate nell’ambito IA.

Investitori Venture capitalist, clienti finali, cittadini comuni devono imparare a distinguere tra ciò che è reale ed efficace dall’effetto verniciatura superficiale tipico dell’Ai-Washing.

Non si tratta solo d’etica, ma della sopravvivenza stessa del settore IA: fiducia, rigore scientifico, trasparenza saranno fondamentali se vogliamo costruire davvero un futuro digitale migliore.

Written by
Serena Fontana

Serena Fontana è una blogger e redattrice digitale specializzata in cronaca, attualità, spettacolo, politica, cultura e salute. Con uno sguardo attento e una scrittura diretta, racconta ogni giorno ciò che accade in Italia e nel mondo, offrendo contenuti informativi pensati per chi vuole capire davvero ciò che succede.

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