La terza stagione di squid game si è chiusa con un finale che ha lasciato milioni di spettatori senza parole, soprattutto per la frase incompiuta pronunciata dal protagonista gi-hun, noto come giocatore 456. Quel messaggio spezzato ha aperto una riflessione profonda sul senso dell’umanità e sul valore delle scelte personali. Il regista hwang dong-hyuk ha spiegato il motivo dietro questa decisione narrativa, mentre i fan hanno creato molteplici interpretazioni che animano ancora oggi il dibattito online. Questo articolo esplora il contesto della scena finale, le motivazioni del regista e le diverse letture proposte dagli appassionati.
La scelta narrativa dietro l’interruzione della frase di gi-hun
Nel momento decisivo dell’ultimo episodio, gi-hun si trova davanti a un bivio morale cruciale: salvare la figlia neonata della giocatrice 222 sacrificando se stesso. Prima di compiere questo gesto estremo, pronuncia una frase tagliata bruscamente: “Noi non siamo cavalli, siamo esseri umani. E gli esseri umani sono…”. L’interruzione lascia lo spettatore sospeso nel dubbio su quale sia il completamento del pensiero.
Nel documentario “squid game – parlano i protagonisti”, disponibile su netflix dal 2025, hwang dong-hyuk spiega che originariamente avrebbe voluto far proseguire gi-hun con un messaggio più esplicito legato alla responsabilità umana e al desiderio di migliorare il mondo. Tuttavia ha scelto di eliminare questa parte perché ridurre l’essere umano a una definizione unica sarebbe stato limitante rispetto alla complessità reale della natura umana.
Hwang sottolinea come ogni persona rappresenti un insieme sfaccettato di sentimenti ed esperienze impossibili da riassumere in poche parole: “le persone sono troppo complesse per essere racchiuse in una sola frase”. Perciò ha affidato il significato ultimo all’atto compiuto da gi-hun piuttosto che alle parole pronunciate.
Lee jung-jae, interprete del protagonista, conferma che lasciare quella frase incompiuta mantiene aperta la riflessione dello spettatore: non viene data risposta definitiva ma viene stimolata una domanda rivolta direttamente a chi guarda lo show. Così si evita anche qualsiasi banalizzazione o morale scontata.
L’altruismo estremo come simbolo dell’umanità nella scena conclusiva
Il sacrificio volontario fatto da gi-hun verso la bambina simboleggia ciò che rappresenta l’essere umano secondo lo sguardo degli autori della serie: non soltanto egoismo o brutalità ma anche capacità di empatia e generosità profonda. La scena rompe con la logica cinica imposta dalla competizione mortale dei giochi mostrandoci invece una traccia possibile per riscoprire dignità oltre alle sofferenze subite.
Questo atto contrasta con tutto ciò che fino ad allora avevamo visto nei concorrenti costretti a uccidersi tra loro sotto ordine dei ricchi vip. Giocatori ridotti a pedine o cavalli da corsa senza diritti né possibilità reali. Gi-hun afferma così verbalmente: “noi non siamo cavalli” per ribadire questo punto fondamentale sull’identità umana.
La scelta narrativa mette al centro proprio quel gesto semplice ma potente capace più delle parole, di suggerire cosa significhi essere davvero umani nelle condizioni più difficili. La sospensione finale invita ognuno quindi ad interrogarsi su cosa voglia dire avere cuore oltre alla razionalità o all’istinto primordiale.
Le interpretazioni più diffuse tra i fan dopo il finale
L’incompiutezza del discorso pronunciato da gi-hun è diventata fonte d’ispirazione per molte discussioni tra gli appassionati sparsi in rete, specialmente su reddit, forum tematici ed altri social network dedicati alle serie tv coreane.
Una delle teorie principali sostiene che “gli esseri umani sono tutto” indicando così tutta la gamma possibile dall’amore all’odio presente nella natura individuale. Non esisterebbe infatti alcuna verità unica ma solo sfumature diverse riflesse dalle azioni compiute dai vari personaggi durante i giochi.
Un’altra visione interpreta quella parola mancante come “ciò che fanno”. In questo senso ogni individuo definisce sé stesso attraverso le proprie scelte concrete quotidiane e così anche lo spettatore può completarla guardando dentro alle proprie esperienze vissute seguendo squiid game.
Alcuni utenti richiamano addirittura cartesianamente al famoso cogito ergo sum: sostengono quindi “gli esseri umani sono pensanti”, ossia dotati coscienza critica capace d’individuare limiti morali ed etici differenti dagli animali.
Infine emerge una lettura intrigante legata al parallelismo fra cavalli e giocatori già introdotto sin dalla prima stagione quando venivano definiti letteralmente “cavalli” manipolati dai vip ricchi. Quella frase rimanda dunque ad un conflitto interiore tra disumanizzazione subita e tentativo disperato d’affermare identità autentica malgrado tutto.
L’ambiguità stessa dell’espressione incompleta riesce a condensare tutte queste prospettive restituendo grande forza simbolica ai temi centrali dello show coreano vincitore mondiale d’ascolti negli ultimi anni.
Hwang dong-hyuk riflette sulle speranze insite nella natura umana attraverso squid game
Durante tutta la produzione squiid game hwang dong hyuk ammette aver attraversato momenti di dubbio personale nel decidere quale messaggio trasmettere riguardo agli uomini: pessimista oppure ottimista? Alla fine ha scelto credere sia possibile trovare qualcosa simile a scintilla vitale dentro ciascuno comunque gravemente segnati dalla violenza vista nei giochi mortali mostrati in tv.
Questa idea emerge nell’atmosfera ambigua lasciata dall’ultima sequenza congiunta agli ultimi dialoghi mai finiti verbali; sprona cioè tutti noi spettatori – nello scenario reale – ad esplorare quale risposta scegliere sulle nostre stesse nature interne complicate quanto misteriose allo stesso tempo.
Le domande poste dal regista diventano parte integrante del percorso narrativo dando continuità oltre allo schermo dove fiction finisce però realtà resta piena invece d’interrogativi fortissimi sulla condizione moderna dell’essere umano contemporaneo globale.
Squid Game continua dunque ad alimentare conversazioni pubbliche intense senza imporre soluzione definitiva; preferisce lasciare spazio aperto affinché chiunque possa confrontarsi liberamente sui propri valori esistenziali partendo proprio dalle ultime parole mai concluse pronunciate dall’uomo chiamato giocatore 456.