La vicenda giudiziaria che vede coinvolta la scrittrice e attivista Cecilia Parodi arriva a un nuovo capitolo. Dopo la denuncia della senatrice a vita Liliana Segre, la procura di Milano ha avanzato la richiesta di rinvio a giudizio per Parodi, imputata di istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale e diffamazione aggravata dall’odio razziale. Al centro della querelle un video pubblicato su Instagram dove compaiono dichiarazioni antisemite rivolte proprio alla sopravvissuta alla Shoah.
La vicenda giudiziaria e il contenuto del video incriminato
Il procedimento a carico di Cecilia Parodi è scaturito da un video pubblicato sul suo profilo Instagram che ha suscitato forte clamore. Nel breve filmato, la scrittrice rivolge parole cariche di odio contro gli ebrei e in particolare contro Liliana Segre, utilizzando espressioni considerate antisemite. Tra le frasi più gravi, vi è quella in cui afferma di odiare “tutti gli ebrei” e “tutti gli israeliani, dal primo all’ultimo“. Questa dichiarazione ha rappresentato un elemento decisivo per aprire l’inchiesta lo scorso anno.
Questi episodi non sono rimasti isolati e sono proseguiti anche a seguito di commenti di altri utenti, dai quali Parodi ha ulteriormente ribadito sentimenti offensivi e discriminatori. Il pm Leonardo Lesti ha quindi richiesto il processo con l’accusa di istigazione alla violenza e diffusione di odio razziale, gravando sulle parole diffuse in rete che incitano all’ostilità verso una categoria etnica.
Leggi anche:
La prossima udienza e la costituzione di parte civile di segre
Il gup di Milano Luca Milani dovrà valutare la richiesta di rinvio a giudizio sulle basi delle prove raccolte dalla procura. L’udienza preliminare è stata calendarizzata per il 26 giugno 2025 e sarà un passaggio cruciale per stabilire se il procedimento si trasformerà in un processo vero e proprio.
In sede di udienza, Liliana Segre ha già annunciato la volontà di partecipare come parte civile assistita dall’avvocato Vincenzo Saponara. Verranno esaminate le prove e i video posti sotto accusa, così come le diverse testimonianze raccolte nel corso delle indagini. La scelta di Segre di aderire formalmente alla causa permette di sostenere il procedimento con maggior forza e garantisce che le offese ricevute vengano prese in considerazione dal tribunale.
Questa fase segnerà un punto di svolta in un fascicolo che segue da vicino episodi di odio razziale amplificati sui social e che rischiano di influenzare negativamente il dibattito pubblico su temi delicati come la memoria storica e la tutela delle vittime di genocidi.
Ampliamento delle indagini e altre accuse per diffamazione aggravata
Parallelamente al caso Parodi, la procura di Milano ha intensificato le indagini su altri soggetti che hanno preso di mira Liliana Segre attraverso insulti e diffamazioni online. Il pm Nicola Rossato si appresta a ordinare la citazione diretta a giudizio nei confronti di sette persone identificate come autrici di diffamazioni aggravate dall’odio razziale. Questi provvedimenti si inseriscono in un contesto più ampio, dove i casi di aggressioni verbali in rete con sfondo razzista sono oggetto di un’inchiesta coordinata dal gip Alberto Carboni.
Il giudice ha disposto l’imputazione coatta per i sette individui e ha chiesto di estendere gli accertamenti anche su altri nove soggetti sospettati di simili reati. Le posizioni di questi nuovi indagati si aggiungeranno a quella di altre dodici persone già sotto procedimento, che include non solo sostenitori della teoria no vax ma anche esponenti di gruppi pro Palestina.
La quota degli account social da identificare supera gli 80, segno di un fenomeno diffuso e frammentato che la procura intende stanare per mezzo di indagini approfondite. Su questa scia, si sottolinea come definire una sopravvissuta ai campi di sterminio con accuse di nazismo configura un reato di diffamazione aggravata da motivazioni discriminatorie.
Il significato legale e sociale delle accuse di diffamazione razziale online
Nell’attuale scenario giudiziario il concetto di diffamazione assume un peso particolare quando è legato a motivi di odio razziale. La legge applicata in questi casi mira a tutelare la dignità personale di chi, come Liliana Segre, ha subito direttamente i traumi più atroci della storia recente.
Le offese con finalità discriminatorie non rappresentano soltanto insulti personali, ma un attacco contro la verità storica consolidata. Etichettare una persona sopravvissuta a un genocidio con accuse false e ingiuriose costituisce un tentativo di negare o sminuire l’esperienza vissuta e, in ultima analisi, di offendere la memoria collettiva.
Il procedimento in corso e le possibili sentenze che ne deriveranno potrebbero definire confini chiari nel linguaggio consentito dalla legge sui social. La giurisprudenza in materia sta rafforzando la linea che punisce senza margini le condotte volte a incoraggiare l’odio verso gruppi etnici o religiosi.
Già i primi esiti dei processi futuri saranno osservati da vicino da chi studia le dinamiche della discriminazione e del fanatismo digitale, temi che occupano sempre più spazio, sia nella cronaca, sia nella vita pubblica.