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Milano negli anni ’70 tra mala e violenza raccontata da stefano nazzi in canti di guerra

Milano negli anni ’70, segnata da violenza e criminalità, è esplorata nel libro “Canti di guerra” di Stefano Nazzi, che analizza figure come Renato Vallanzasca e Francis Turatello.

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L’articolo racconta la violenta Milano degli anni ’70, con la criminalità di figure come Turatello e Vallanzasca, e analizza anche casi di cronaca nera più recenti, evidenziando le difficoltà delle indagini e del sistema giudiziario italiano. - Unita.tv

Gli anni ’70 a Milano furono un periodo segnato da violenza e criminalità diffusa, tanto da superare in percentuale di omicidi città come Medellín. Stefano Nazzi, giornalista noto per il podcast “Indagini“, ha esplorato quegli anni nel suo libro “Canti di guerra” pubblicato da Mondadori. Nel contesto della prima edizione del Milano Film Fest, Nazzi ha presentato un reading al Piccolo Teatro Strehler, offrendo una narrazione dettagliata e cruda di quella stagione buia. L’evento ha incluso anche una retrospettiva sul genere poliziottesco italiano e una masterclass con i Manetti Bros, sottolineando il legame profondo tra la città e la sua storia criminale.

Milano degli anni ’70: una città a mano armata

Milano nel decennio degli anni ’70 si presentava come una città dominata da una violenza quasi quotidiana. Le bande criminali agivano a viso aperto, senza nascondersi, nelle strade e nei quartieri popolari. I tassi di omicidio erano altissimi, con circa 150 assassinii all’anno, un dato che rendeva Milano ancora più pericolosa di alcune delle metropoli più note per il crimine. Gli scontri a fuoco erano frequenti, spesso in pieno centro, e le case da gioco clandestine si moltiplicavano ovunque.

Protagonisti della mala milanese

La presenza di figure come Francis Turatello e Renato Vallanzasca trasformava le strade in un teatro di guerre di potere e sparatorie. Questi criminali non si limitavano a delinquere nell’ombra, ma al contrario esibivano il loro potere con atteggiamenti spavaldi e provocatori. Diverse bande si combattevano apertamente per il controllo della città, segnando un’epoca di insicurezza e paura reale per i cittadini.

In questo scenario, le forze dell’ordine faticavano a gestire un fenomeno così radicato. Interventi e arresti non bastavano a frenare la violenza che sembrava alimentarsi di pubblico consenso e ammirazione, soprattutto verso alcuni personaggi carismatici della mala milanese.

La fascinazione per la mala e i protagonisti dell’epoca

L’attenzione verso figure come Renato Vallanzasca non nasceva solo dalla cronaca giudiziaria, ma anche da una sorta di fascino sociale. Vallanzasca si presentava come un uomo audace e ribelle, insofferente a qualsiasi autorità, caratteristiche che lo rendevano quasi un’icona tra alcuni settori della popolazione. Le sue numerose fughe dal carcere e le interviste rilasciate alimentavano questa immagine di personaggio fuori dalle regole, ammirato da chi vedeva in lui un simbolo di resistenza anche se la sua vera attività manteneva basi esclusivamente criminali.

Francis Turatello, invece, rappresentava una forma di criminalità più imprenditoriale. Già allora si può parlare di un vero e proprio impero del crimine, gestito con una certa strategia. Turatello sfoggiava spesso pellicce e lusso ostentato, sottolineando il suo potere acquisito grazie al controllo di diverse attività illegali.

Queste personalità diventavano veri e propri miti popolari, un fenomeno non limitato solo alla criminalità ma esteso anche alla cultura popolare milanese e nazionale. Le cronache dell’epoca testimoniano come la loro influenza andasse oltre la scala del crimine, toccando aspetti sociali, mediali e persino politici.

Un episodio simbolo: il matrimonio in carcere tra turatello e vallanzasca

Un episodio memorabile e significativo della relazione tra i due signori della mala milanese fu il loro matrimonio celebrato in carcere. Dopo anni di scontri violenti, culminati in sparatorie in via Mac Mahon, Turatello e Vallanzasca finirono dietro le sbarre insieme e decisero di negoziare una tregua. Per suggellare il patto, Turatello propose a Vallanzasca di sposarsi in carcere, scegliendo una delle tante donne che scrivevano a Vallanzasca durante la detenzione.

L’idea era ambiziosa e carica di simbolismo: ottenere la prima pagina di Novella 2000 e consolidare alleanze per rafforzare la posizione di Turatello, sotto pressione da un altro boss, Angelo Epaminonda. Anche se auspicavano che il matrimonio venisse officiato dal papa Giovanni Paolo II, a quel punto incaricarono un prete carcerario per la cerimonia.

L’evento però non mise al sicuro Turatello, che pochi mesi dopo morì assassinato nel cortile di una prigione in Sardegna. Questa vicenda evidenzia quanto le dinamiche di potere fossero complesse e turbolente all’interno delle organizzazioni criminali milanesi.

Storie di cronaca che segnano e scuotono

Gli anni ’70 milanesi rappresentano solo una parte delle storie raccontate da Stefano Nazzi, che esplora anche casi più recenti di cronaca nera che hanno colpito l’Italia. L’omicidio di Martina Carbonaro, una 14enne uccisa ad Afragola, ha suscitato profonda rabbia e sconforto. La vicenda tira fuori questioni legate a dinamiche relazionali violente, spesso legate a questioni di possesso e ossessione.

Il caso di Tommaso Onofri, il bambino di tre anni sequestrato e ucciso vicino a Parma, è un esempio di violenza senza senso. La rapidità con cui il piccolo è stato ucciso dopo il rapimento lascia domande senza risposta e una ferita profonda nell’opinione pubblica. Questi episodi mettono in luce come, nonostante il tempo passato, certi tipi di violenza continuino a segnare la società italiana, richiamando attenzione alla necessità di comprendere e affrontare questi drammi.

Riflessioni sulle indagini e i processi: il caso garlasco

La vicenda giudiziaria attorno al caso Garlasco continua a suscitare dubbi e discussioni. Stefano Nazzi sottolinea come, dopo diciotto anni, la mancanza di una prova definitiva rimanga un problema. Le indagini e i processi che hanno assolto per due volte Stasi non sono riusciti a chiarire del tutto quanto accaduto quella notte.

Nazzi mette in guardia dai rischi di una “visione a tunnel” nelle indagini penali, cioè la fissazione su un sospetto a discapito di altre piste possibili. A volte le procure si concentrano troppo su un’unica versione, trascurando elementi che potrebbero modificare l’orientamento delle investigazioni. In questo caso, i risultati di esami scientifici come impronte digitali o tracce di dna potrebbero finalmente fornire risposte certe.

La situazione attuale, secondo il giornalista, non è soddisfacente e fa emergere i limiti del sistema investigativo e giudiziario, che troppo spesso si trova a dover fare i conti con incertezze e procedure che faticano a risolvere casi delicati e complessi.