Alain finkielkraut denuncia la nuova ondata di antisemitismo legato al conflitto israele-palestina
L’omicidio di diplomatici israeliani negli Stati Uniti riaccende il dibattito sull’antisemitismo mascherato da antisionismo, evidenziando le divisioni interne in Israele e le reazioni internazionali.

Alain Finkielkraut denuncia la crescente confusione tra antisionismo e antisemitismo, evidenziando le divisioni interne israeliane e le ambiguità del discorso politico internazionale che alimentano odio e tensioni globali. - Unita.tv
La recente uccisione di due diplomatici israeliani negli Stati Uniti, accompagnata dal grido “Palestina libera”, ha riportato sotto i riflettori il fenomeno crescente dell’odio antiebraico. Alain Finkielkraut, filosofo francese, ha espresso preoccupazione per la diffusione di un tipo di intolleranza che confonde antisionismo con antisemitismo. Attraverso un’intervista pubblicata su Le Figaro, Finkielkraut ha analizzato i rischi di un linguaggio che lega le colpe del governo israeliano a un’intera comunità ebraica, accentuando tensioni già profonde nel panorama internazionale.
Un antisemitismo mascherato dall’antisionismo
Finkielkraut ha descritto la situazione attuale come un fenomeno in cui l’odio antiebraico si nasconde dietro la critica politica a Israele. Questa nuova forma di intolleranza usa termini forti come “genocidio” per attaccare lo stato israeliano e negarne il diritto di esistenza. Secondo il filosofo, definire Israele come un’entità paragonabile ai regimi nazisti ha lo scopo di delegittimarlo completamente. Questa retorica, osserva, ha raggiunto una diffusione globale, toccando opinioni pubbliche e istituzioni, comprese alcune componenti della sinistra che paragonano gli eventi di Gaza all’Olocausto. Finkielkraut respinge con forza tale paragone, sottolineando che “le vittime della Shoah non avevano la possibilità di difendersi né arma alcuna nascosta come nel caso dei tunnel sotterranei usati in conflitto.”
L’uso abusivo e improprio di certi termini storici non solo alimenta l’odio, ma oscura la complessità della situazione. Di conseguenza la distinzione tra legittima critica politica e istigazione all’odio si fa sempre più difficile. Finkielkraut sollecita un dibattito più attento, dove si riconosca il valore della memoria storica senza strumentalizzazioni che alimentano tensioni e pregiudizi.
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Divisioni profonde nella società israeliana
Nel corso della sua intervista, Finkielkraut ha messo in evidenza anche le spaccature che attraversano la società israeliana oggi. Da un lato ci sono i sostenitori incondizionati del governo Netanyahu, che appoggiano le operazioni militari contro Gaza e la linea rigida adottata nel conflitto. Dall’altro, una parte importante della popolazione e della classe politica critica duramente il premier, richiedendo una svolta radicale nella gestione della crisi. Questa fazione chiede la liberazione degli ostaggi, fortemente coinvolti nella tensione tra Israele e Hamas, e promuove l’idea di nuove elezioni per uscire dall’impasse.
La società israeliana, secondo Finkielkraut, non ha mai vissuto una frattura così netta dal punto di vista politico e sociale. A questa divisione si aggiungono le pressioni internazionali che spingono per un cessate il fuoco, rendendo ancora più complesso trovare una posizione condivisa all’interno del paese. I dibattiti pubblici si infiammano e il futuro politico di Israele appare più incerto che mai. L’impatto sociale di questa realtà si riflette anche nella diffusione di sentimenti contro gli ebrei fuori dai confini israeliani, complicando ulteriormente il quadro.
Le reazioni internazionali e le ambiguità del discorso politico
Il filosofo ha analizzato con attenzione anche le risposte occidentali alle operazioni israeliane. Molti paesi, tra cui quelli europei, hanno espresso critiche verso la linea dura di Netanyahu, invitando a cercare un accordo e a rallentare le operazioni militari. Finkielkraut distingue però tra condanne legittime che denunciano conseguenze umanitarie pesanti e quelle che invece sfociano in un antisemitismo mascherato da critica politica.
Le critiche provenienti dall’Europa fendono due strade. Da una parte spingono per una soluzione diplomatica, dall’altra rilanciano accuse troppo generiche che investono l’intera popolazione ebraica. Il filosofo ricorda che “la violenza non è stata scatenata da Israele bensì da Hamas, che ha sistematicamente rifiutato negoziati e pace.” Eppure, è evidente che il linguaggio usato in certi contesti alimenta una forma di odio che non si limita alla politica ma travolge dimensioni culturali e sociali ben più ampie.
Questi contrasti portano a una diffusione pericolosa dei pregiudizi. La confusione tra legittima opposizione a una politica statale e l’odio verso una comunità intera ha generato nuovi episodi di antisemitismo anche in paesi non direttamente coinvolti nel conflitto, come gli Stati Uniti e diversi stati europei. Finkielkraut invita a vigilare su queste derive, per evitare che “il dolore di una guerra si trasformi in un odio ingiustificato e generalizzato.”
Le tensioni degli ultimi mesi evidenziano la fragilità delle relazioni internazionali sulla questione mediorientale e il bisogno urgente di ragionare con attenzione senza abbandonarsi a slogan o analisi semplificate. Ogni accadimento deve essere contestualizzato con rigore per impedire nuove divisioni nel mondo e nuove vittime di un odio che non conosce confini.