La Commissione Europea ha recentemente presentato un piano d’azione per l’intelligenza artificiale, suscitando reazioni contrastanti tra esperti del settore. Fabio De Ponte, ricercatore presso l’Università Libera di Bruxelles e membro del gruppo di ricerca Hermes, ha condiviso le sue osservazioni con l’Adnkronos, evidenziando le potenzialità del piano ma anche le difficoltà legate ai numeri e agli investimenti necessari per realizzarlo.
Un approccio positivo verso l’innovazione
Il piano della Commissione Europea è stato accolto con favore da De Ponte, che lo definisce un passo avanti significativo. Secondo il ricercatore, l’Unione Europea sta cercando di passare da una strategia focalizzata esclusivamente sulla regolamentazione dei rischi a un approccio più orientato all’innovazione e alla produttività. Questo cambiamento di rotta rappresenta una ricalibratura necessaria, soprattutto considerando la storicità dell’Unione, che ha sempre avuto un forte legame con la regolamentazione piuttosto che con le politiche industriali.
Tuttavia, De Ponte sottolinea che la transizione richiederà tempo. La complessità del passaggio a un modello più produttivo non deve essere sottovalutata, specialmente in un contesto europeo dove le normative sono spesso più rigide rispetto ad altre realtà globali. La sfida principale sarà quindi quella di trovare un equilibrio tra la necessità di innovare e la necessità di mantenere standard di sicurezza e regolamentazione.
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Le cifre dietro il piano
Un aspetto cruciale del piano riguarda i numeri. De Ponte evidenzia che l’Unione Europea intende costruire tra quattro e cinque gigafactory dedicate all’intelligenza artificiale, ognuna delle quali dovrebbe essere dotata di 100.000 chip di ultima generazione forniti dalla statunitense Nvidia. L’investimento totale previsto è di 20 miliardi di euro, ma la distribuzione dei fondi è significativa: solo il 30% proviene da finanziamenti pubblici, mentre il 70% deve essere garantito da investitori privati.
Questo solleva interrogativi sulla reale disponibilità di capital e sulla volontà degli investitori di impegnarsi in un progetto così ambizioso. De Ponte fa notare che, per ogni stabilimento, si prevede una spesa di circa 4 miliardi di euro, di cui un terzo dovrebbe provenire da fonti pubbliche. La questione della sostenibilità economica del piano è quindi centrale e merita un’attenta considerazione.
Il confronto con gli Stati Uniti
Nel contesto internazionale, De Ponte mette in evidenza le differenze tra l’Europa e gli Stati Uniti. Mentre l’Unione Europea sta progettando di investire 20 miliardi di euro per quattro o cinque gigafactory, negli Stati Uniti OpenAI ha avviato il progetto Stargate, un investimento congiunto da 100 miliardi di dollari in collaborazione con Oracle e SoftBank. Questo complesso, che sorgerà in Texas, avrà una capacità di 400.000 chip Nvidia, superando di gran lunga le ambizioni europee.
Altri attori americani, come Elon Musk e Meta, stanno anch’essi investendo enormi somme per sviluppare supercomputer e infrastrutture per l’intelligenza artificiale. Musk, ad esempio, ha annunciato un piano da 5 miliardi di dollari per un supercomputer a Memphis, mentre Meta ha in programma di utilizzare 600.000 chip. Queste cifre pongono l’Europa in una posizione di svantaggio, evidenziando la necessità di un impegno più significativo e coordinato per non rimanere indietro.
Le sfide energetiche e infrastrutturali
Un altro aspetto critico del piano riguarda il consumo energetico delle nuove strutture. De Ponte sottolinea che il complesso di OpenAI dovrebbe consumare circa 1,2 gigawatt di energia, equivalente al fabbisogno di circa 200.000 abitazioni. Tuttavia, nel piano della Commissione Europea non sono state fornite indicazioni chiare su come verranno alimentate le future gigafactory. Ogni stabilimento avrà un fabbisogno energetico simile a quello di una città come Novara, rendendo urgente la questione della sostenibilità energetica.
In aggiunta, il ricercatore ricorda che l’anno scorso la Commissione aveva annunciato un progetto per la creazione di strutture più piccole, con l’adesione di 12 Paesi, tra cui Italia e Germania. L’investimento pubblico previsto per queste strutture ammonta a circa 2 miliardi di euro, portando il totale degli investimenti pubblici per le gigafactory a circa 8-9 miliardi di euro. Questo è ben lontano dai 100 miliardi di dollari investiti negli Stati Uniti, evidenziando la disparità di risorse e impegni tra le due sponde dell’Atlantico.
La necessità di una produzione autonoma di chip
Infine, De Ponte mette in luce un’altra questione cruciale: la produzione autonoma di chip. Attualmente, l’Unione Europea dipende fortemente dalle forniture estere, in particolare dagli Stati Uniti, dove Nvidia è l’unico produttore di chip adatti all’intelligenza artificiale. La Commissione Europea ha espresso l’intenzione di sviluppare una propria industria per la produzione di chip, ma questo rappresenta una sfida complessa e costosa che richiederà tempo e risorse significative.
La dipendenza dalle forniture estere non solo limita la capacità di innovazione dell’Europa, ma espone anche il continente a potenziali rischi geopolitici. La questione della produzione di chip deve quindi essere affrontata con urgenza, per garantire un futuro sostenibile e competitivo per l’intelligenza artificiale in Europa.