L’intelligenza artificiale è ormai parte integrante delle nostre vite quotidiane, ma qual è il suo reale impatto ambientale? Questo articolo esplora i consumi energetici legati all’IA, analizzando dati ufficiali e opinioni di esperti per comprendere se l’allerta sull’ambiente sia giustificata o esagerata.
Consumi energetici e acqua: il cuore del problema
Il consumo di energia dell’IA si concentra principalmente nei data center. Queste strutture enormi elaborano e archiviano dati, generando risposte in tempo reale. Ogni interazione con un sistema come ChatGPT richiede una notevole potenza di calcolo, traducendosi in elevati consumi elettrici e un significativo fabbisogno d’acqua per il raffreddamento dei server.
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia , una singola richiesta a ChatGPT consuma circa 3 wattora di elettricità, dieci volte più rispetto a una ricerca su Google. Sebbene questo dato possa sembrare trascurabile, moltiplicato per milioni di utenti cambia radicalmente la situazione. La stessa IEA avverte che alcuni data center in progettazione potrebbero consumare l’equivalente dell’energia utilizzata da 5 milioni di abitazioni.
Data center nelle regioni aride
Diversi articoli hanno messo in luce come le grandi aziende tecnologiche stiano progettando nuovi data center in aree aride. Ad esempio, in Aragona, Spagna, i nuovi impianti di Amazon potrebbero consumare più elettricità dell’intera comunità autonoma spagnola e richiedere fino a 750mila metri cubi d’acqua all’anno per il raffreddamento.
Riflessioni critiche sull’allarmismo
Non mancano però voci che invitano a considerare questi dati con cautela. La divulgatrice ambientale Hannah Ritchie mette in discussione l’interpretazione del dato della IEA riguardo al consumo energetico delle richieste a ChatGPT. Secondo Ritchie, su scala individuale si tratta di un consumo trascurabile: quei 3 wattora rappresentano solo lo 0,00007% del consumo elettrico annuo medio nel Regno Unito.
Anche Alex de Vries ha calcolato che il consumo teorico dei server prodotti da Nvidia potrebbe variare tra i 5 e i 10 terawattora all’anno. Questo è solo una frazione dei circa 460 TWh consumati dai data center globalmente.
Il contesto globale conta
La velocità con cui l’IA si sta diffondendo preoccupa molti esperti. Tuttavia, secondo l’IEA, i data center peseranno solo per il 3% sull’aumento della domanda globale di elettricità entro il 2030. Settori come l’industria pesante o la climatizzazione avranno un impatto ben più rilevante.
Distinguere tra impatto locale e globale
Le analisi suggeriscono che è fondamentale distinguere tra impatto globale e locale. In Irlanda, ad esempio, i data center già assorbono il 17% dell’elettricità nazionale; negli Stati Uniti la quota si attesta attorno al 3-4%. In questi contesti si osservano fenomeni preoccupanti come la riattivazione di centrali a carbone.
Inoltre, non conta solo quanto consuma l’IA ma anche da dove proviene l’energia utilizzata. Un allarmismo ingiustificato potrebbe offrire alle grandi aziende tech un alibi per non rispettare gli obiettivi climatici.
Trasparenza necessaria nel dibattito pubblico
Un’altra criticità riguarda la scarsa trasparenza sui consumi energetici legati all’IA. Le aziende tecnologiche non forniscono dati completi sui loro consumi specifici né sull’impronta di CO2 associata ai loro servizi. Questo vuoto informativo rende difficile valutare con precisione l’impatto ambientale dell’IA.
L’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale non può essere ridotto alla semplice domanda “Quanto inquina ChatGPT?”. È necessario affrontarlo con rigore e contestualizzare i numeri senza cadere nel catastrofismo o nell’ottimismo cieco.
Verso una transizione ecologica responsabile
L’intelligenza artificiale può contribuire alla soluzione dei problemi energetici ottimizzando i consumi e migliorando la gestione delle reti elettriche. Tuttavia, affinché ciò avvenga è fondamentale adottare criteri di sostenibilità ambientale nelle politiche aziendali e governative.
Per farlo servono analisi accurate e maggiore trasparenza nei dati forniti dalle aziende tech. Solo così sarà possibile valutare seriamente il ruolo dell’intelligenza artificiale nella transizione ecologica senza offrire pretesti alle big tech per rallentare gli impegni climatici reali.
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