Il calcio si trasforma in un linguaggio universale che supera guerre e confini, unendo bambini da realtà lontane come Gaza e Napoli. In mezzo a fango, bombe e difficoltà quotidiane, il gioco del pallone diventa veicolo di speranza e solidarietà. Questa storia racconta come due gruppi di ragazzi, separati da migliaia di chilometri ma accomunati dalla passione per il calcio, trovino nel campo uno spazio dove la guerra sembra fermarsi.
Le sfide del calcio nei campetti segnati dalla guerra a gaza
Nel nord della Striscia di Gaza, i campetti sono spesso invasi dal fango dopo le piogge o danneggiati dai bombardamenti. Qui giocano giovani calciatori che hanno visto troppo presto la crudeltà della guerra. Il campo è irriconoscibile: maglie sporche, palloni affondati nella terra bagnata. I bambini non capiscono perché devono interrompere la partita ma sentono sulla pelle la durezza degli eventi esterni.
Mohamed al Sultan ha solo 23 anni ed è allenatore dell’Al Haddaf Team a Bet Lahia. La sua esperienza non si limita all’insegnamento tecnico: ha dovuto insegnare ai suoi ragazzi come dribblare non solo gli avversari in campo ma anche le bombe fuori dal terreno da gioco. La tragedia ha colpito lui stesso quando lui e suo fratellino Bahaa sono rimasti vittime dei bombardamenti israeliani un mese fa; due giovani vite spezzate nel tentativo disperato di scappare dalla violenza.
Nonostante tutto questo dolore l’esempio lasciato da Mohamed e Bahaa continua a vivere nella squadra che combatte ogni giorno per mantenere viva la passione del calcio in condizioni impossibili.
Lo spirito dello spartak san gennaro tra inclusione sociale e sport
A Napoli esiste una realtà sportiva diversa ma altrettanto significativa: lo Spartak San Gennaro è una squadra nata per accogliere ragazzi con storie difficili alle spalle o meno fortunate economicamente. Il loro campo d’allenamento si trova nell’ex carcere Filangeri, luogo simbolico trasformato in spazio aperto al gioco e alla crescita personale.
Luigi Volpe racconta come questa squadra cerchi soprattutto di insegnare uguaglianza tra i partecipanti senza nascondere le difficoltà della vita reale attorno a loro; attraverso il confronto diretto con storie forti provano ad aprire nuovi orizzonti agli adolescenti coinvolti nel progetto sportivo sociale.
La domanda fatta da un bambino vedendo immagini dei conflitti mediorientali “ma quei ragazzi possono giocare a calcio?” ha acceso una scintilla importante nello staff dello Spartak San Gennaro portandoli ad instaurare contatti diretti con l’Al Haddaf Team palestinese grazie allo scambio continuo video messaggi foto pieni d’affetto reciproco malgrado distanze geografiche enormi.
Un ponte d’amicizia costruito sul rispetto reciproco fra napoli e gaza
L’iniziativa nata dall’incontro virtuale fra questi due gruppi porta avanti gesti concreti carichi significato. A Napoli i ragazzini indossano magliette con scritto “Tutte ‘e creature song eguale” mentre quelli palestinesi dipingono sulle mura annerite dalle bombe scritte dedicate allo Spartak San Gennaro usando cenere delle proprie case distrutte.
Questo legame simbolico testimonia una promessa comune: poter giocare insieme quando sarà finita la guerra, magari proprio su quel campetto partenopeo dove lo sport assume valore educativo oltreché ludico. Recentemente inoltre, i piccoli atleti napoletani hanno organizzato una giornata dedicata alla memoria dei fratelli Mohamed e Bahaa, offrendo così anche ai più giovani strumenti semplici ma importanti per confrontarsi col tema della perdita prematura.
Il ricordo diventa festa condivisa; uno strumento pedagogico che permette ai bambini, pur nella sofferenza, di trovare forza collettiva senza rinunciare all’innocenza propria dell’età infantile.
Il valore umano del gioco oltre tecniche tattiche nelle squadre popolari
Lo Spartak San Gennaro prende ispirazione dagli spartani guerrieri antichi ed evoca San Gennaro patrono protettore della città: nome scelto perché rappresenta resistenza fisica morale supporto spirituale. L’obiettivo qui non è creare atleti professionisti quanto formare persone capaci comprendere empatia solidarietà attraverso esperienze condivise sul campo.
I metodi adottati privilegiano momenti dove spiegazioni semplicissime aiutano i ragazzini ad affrontare tematiche complesse quali guerre sofferenze morte perdite familiari. Non ci si limita quindi alle tattiche calcistiche classiche bensì si accompagna ciascun ragazzo verso consapevolezza umana più profonda.
Luigi Volpe sottolinea quanto sia fondamentale far toccar con mano ciò che accade fuori dalle mura sportive stimolando riflessioni autentiche nei piccoli partecipanti. Le emozioni nate dall’amicizia coltivata coi coetanei palestinesi amplificano questo percorso formativo diventando base solida su cui costruire futuro diverso lontano dai conflitti armati.
L’ultimo incontro digitale tra queste due realtà ha visto unirsi idealmente tanti piccoli calciatori intenti ricordare amici persiperiti sotto le bombe israeline; mentre sullo sfondo rotolava quel pallone capace ancora oggi tenere insieme popoli separati dalla violenza politica militante.