Un gruppo di quattro giovani donne parte per una vacanza all’insegna del surf in una remota isola della Polinesia francese, ignare dei rischi che le attendono. Il film “Pacific Fear”, diretto da Jacques Kluger e disponibile su Amazon Prime Video, racconta questa avventura tra paesaggi mozzafiato e creature inquietanti nate da esperimenti nucleari. L’opera mescola diversi generi ma fatica a trovare un equilibrio narrativo.
La storia ruota intorno a Sarah, ex campionessa di surf ora appassionata di fotografia. Insieme a tre amiche decide di trascorrere qualche giorno in un luogo isolato dove poter cavalcare onde eccezionali. L’unico modo per raggiungere l’isola è affidarsi a Sam, un ex militare che accetta con riluttanza il compenso offerto ma mette in guardia sulle insidie del posto e su una maledizione legata alla cultura polinesiana.
All’arrivo l’atmosfera è idilliaca: spiagge bianche, acque cristalline e tanto sole accompagnano le prime ore del viaggio. Tuttavia la situazione cambia quando le ragazze decidono di esplorare la foresta per raggiungere altre spiagge con onde ancora più alte. Una delle protagoniste profana involontariamente il Maraé, luogo sacro della tradizione locale; questo gesto scatena eventi terrificanti legati alle creature mutate dagli effetti dei test nucleari condotti nel passato.
Le entità che emergono dalla foresta non sono mostri giganti o animali fuori scala come ci si potrebbe aspettare da certi horror classici; si tratta piuttosto di esseri umani alterati dalla radioattività in forme semiumane difficili da definire chiaramente nel film. Questi esseri agiscono come predatori spietati contro chiunque osi invadere il loro territorio.
Il personaggio di Sam assume presto i toni dell’antagonista autoritario: ex militare violento che comanda questi esseri mutati come se fossero soldati al suo servizio. Il riferimento al potere assoluto esercitato sull’isola richiama immagini forti tratte dal cinema classico ma resta poco sviluppato nel corso della narrazione.
“Pacific Fear” tenta anche uno sguardo retrospettivo sugli effetti dei test atomici effettuati dalla Francia nelle isole del Pacifico dopo la seconda guerra mondiale; questo aspetto però rimane marginale rispetto all’azione principale ed è inserito senza approfondimenti adeguati o riflessioni incisive.
Nel tentativo di arricchire la trama compaiono citazioni variegate dal mondo del cinema: momenti che ricordano “Un mercoledì da leoni” alternano scene tipiche degli horror survival ambientati in luoghi ostili come “Wrong Turn” o “The Green Inferno”. Perfino alcuni tratti richiamano “Apocalypse Now”, specie nella figura dell’ex militare folle al comando dell’isola popolata da creature deformate.
Questo miscuglio genera una sensazione generale caotica dove nessun elemento riesce ad emergere con chiarezza lasciando lo spettatore confuso più che coinvolto.
Il film può contare sulla bellezza naturale della Polinesia francese: spiagge incontaminate, acque limpide, vegetazione fitta creano uno scenario ideale per una storia ambientata sul mare aperto. Le protagoniste sono attraenti giovani donne appassionate allo sport estremo cui si aggiunge il fascino esotico dell’ambientazione tropicale sotto un sole cocente.
Non basta però mostrare scorci suggestivi se poi la regia procede con tagli bruschi ed effetti nervosi inutilmente agitati durante molte sequenze d’azione creando disorientamento nello spettatore invece che tensione reale o coinvolgimento emotivo autentico nella vicenda narrata.
Anche il montaggio contribuisce ad aumentare questa sensazione confusa senza permettere ai momenti più intensi o drammatici delle scene survival horror di lasciare traccia duratura nell’immaginario dello spettatore medio.
L’intreccio segue percorsi già notissimi nei racconti basati sul confronto tra civiltà moderne superficiali ed antiche culture indigene ricche invece d’insegnamenti profondamente ignorati dai protagonisti stessi. La presenza costante degli stereotipi emerge soprattutto dall’incauta leggerezza delle ragazze nell’affrontare situazioni potenzialmente letali senza alcuna precauzione reale.
Il messaggio implicito parla dunque della presunzione occidentale incapace, ancora oggi, di rispettare i segreti nascosti dietro simbolismi culturali millenari. Questo tema appare solo nelle battute finali quasi come un lampo fugace prima dello spegnersi definitivo delle luci sulla pellicola.
Tuttavia rimane difficile empatizzare con personaggi così poco attenti alle conseguenze delle proprie azioni, rendendo complicato tifarli mentre affrontano minacce sempre più crudele fino all’epilogo drammatico.
Con “Pacific Fear” Jacques Kluger prova a combinare vari elementi narrativi legandoli alla bellezza naturale polinesiana ma resta intrappolato nei limiti sceneggiativi derivanti dall’eccessiva accumulazione tematica priva d’una linea coerente capace davvero catturare interesse duraturo oltre l’effimero intrattenimento breve proposto dal prodotto streaming su Prime Video oggi disponibile agli utenti interessati al genere survival horror misto a thriller esotico.
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