Processo a giuseppe difonzo, il padre che nel 2016 uccise la figlia di tre mesi: ricostruzione e condanna
Il processo a Giuseppe Difonzo, condannato per l’omicidio della figlia Emanuela, riaccende il dibattito sulle responsabilità genitoriali e le dinamiche familiari che portano a tragedie.

Il processo a Giuseppe Difonzo, condannato per l'omicidio della figlia di 3 mesi nel 2016, torna alla ribalta con la trasmissione "Un giorno in pretura", evidenziando una tragedia familiare e le complesse dinamiche giudiziarie che ne sono seguite. - Unita.tv
La cronaca nera italiana si concentra ancora una volta su un caso che ha scosso l’opinione pubblica. Il processo a giuseppe difonzo, giovane di altamura, è tornato alla ribalta con la trasmissione un giorno in pretura, che stasera alle 21.20 su rai 3 ricostruisce con precisione e dettaglio le fasi di questo dramma familiare. I fatti risalgono al 2016, quando una bimba di 3 mesi perse la vita per mano del proprio padre, che la considerava un ostacolo. Questo caso ha sollevato molte domande e riflessioni sulla natura delle responsabilità parentali e sulle dinamiche che portano a tragedie simili.
Il dramma di altamura e i fatti della notte fatale
A febbraio 2016, in una stanza dell’ospedale pediatrico giovanni xxiii di bari, si consumò un episodio drammatico. Emanuela, una neonata di soli tre mesi, era ricoverata a causa di crisi respiratorie ricorrenti. Il padre, giuseppe difonzo, all’epoca 29 anni, approfittò di un momento in cui rimase solo con la figlia per soffocarla. Secondo quanto rilevato dall’inchiesta, difonzo agì con fredda lucidità. Prima di soffocare la piccola, abbassò il volume dell’allarme del monitor che controllava i parametri vitali di emanuela, impedendo così un intervento immediato del personale medico.
Solo dopo alcuni minuti chiamò aiuto, quando ormai non c’era più nulla da fare. A inchiodare difonzo fu la testimonianza di un bambino di tre anni e mezzo, ricoverato nella stessa stanza, che riferì alla polizia di aver visto l’uomo tentare di uccidere la neonata già qualche ora prima. Le indagini successive confermarono che il padre aveva già compiuto due tentativi di soffocamento ai danni della figlia nei mesi precedenti, nel dicembre 2015 e gennaio 2016.
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La vita famigliare e il movente alla base dell’omicidio
Il processo ha rivelato una situazione familiare difficile e complessa. La madre di Emanuela, che all’epoca era la compagna di giuseppe difonzo, ha raccontato come lui non si assumesse le responsabilità economiche e familiari necessarie per sostenere la bambina e la famiglia. Viveva con lavori occasionali e piccoli espedienti, mostrando scarso impegno nel supportare la compagna e la figlia.
La bimba, nei suoi ultimi mesi di vita, trascorse 67 giorni in ospedale a causa delle crisi respiratorie provocate proprio dai tentativi di soffocamento. Dai giudici emerse che il movente appariva chiaro: difonzo considerava la figlia un ostacolo. La nascita di Emanuela lo avrebbe messo di fronte a responsabilità che non intendeva assumere. Di qui lo strazio e la scelta drammatica. La difesa provò a giustificare il comportamento di difonzo sostenendo che fosse affetto dalla sindrome di munchausen per procura, un disturbo che porta gli adulti a simulare o provocare malattie nei figli per attirare attenzione su di sé. Una perizia psichiatrica effettuata dal professor roberto catanesi però stabilì che difonzo era lucido e capace di intendere e volere al momento del fatto.
Le sentenze da primo a secondo grado e la decisione della cassazione
In tribunale, giuseppe difonzo scelse di non rispondere alle domande, ma la macchina giudiziaria impartì risposte chiare. La prima sentenza lo condannò a 16 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale. Poi, in appello, la Corte d’assise rivalutò i fatti portando la condanna a ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione. Ma questa sentenza fu annullata dalla cassazione, che rimandò il caso alla corte d’assise d’appello.
Seguendo le indicazioni della Suprema Corte, la Corte d’assise concesse a difonzo le attenuanti generiche condannandolo a 29 anni di carcere al posto dell’ergastolo. Una decisione che creò polemiche, soprattutto perché nello stesso periodo difonzo era stato coinvolto in un altro processo per aver violentato una ragazza di 14 anni, per il quale fu condannato a tre anni di prigione.
La sentenza definitiva fu pronunciata dalla cassazione a marzo 2025. Oggi, a quasi dieci anni dal delitto, difonzo sta scontando la pena in carcere. La vicenda continua a far discutere per la complessità e drammaticità degli eventi, sollevando interrogativi sulle difficoltà delle famiglie in crisi e sui limiti di tutela per i minori vittime di violenza in ambito domestico.