L’inchiesta bis sull’omicidio di Chiara Poggi torna a far parlare di sé, con nuove tracce di DNA comparse negli atti che sembrano però scatenare più domande che certezze. La criminologa Roberta Bruzzone, esperta coinvolta nel dibattito, ha espresso parole dure sulle recenti acquisizioni investigative. Il caso torna così sotto i riflettori mentre le indagini cercano ancora risposte, specialmente su quella traccia genetica chiamata “Ignoto 3” trovata sul corpo della vittima. Vediamo come si sviluppa il panorama delle nuove attività forensi, i limiti riscontrati dagli esperti e cosa potrebbe riservare ancora questa vicenda giudiziaria.
Dna “ignoto 3” trovato sulla vittima: che cosa dicono esperti e tecnologie
Durante l’autopsia di Chiara Poggi, è stata rilevata una traccia di DNA di origine maschile, ribattezzata come “Ignoto 3”. Questo materiale genetico è stato rinvenuto sulla bocca della vittima, un dettaglio che avrebbe dovuto fornire un filo per risalire a un possibile autore del delitto o a un complice. La perizia però smorza ogni entusiasmo investigativo. La criminologa Bruzzone, intervenuta poco prima di un evento culturale a Vigevano, ha definito quella traccia “irrilevante” per via della quantità minimale.
Il prelievo del DNA risulta infatti così scarso da apparire suscettibile di contaminazione. Le tecniche di laboratorio oggi permettono di isolare anche una singola cellula, ma in questo caso il materiale raccolto sembra troppo esiguo per poter stabilire sicurezze. Non solo: la posizione della traccia – la bocca – fa pensare a un possibile contatto, ma non ci sono altre evidenze compatibili come ferite o indizi che Chiara avrebbe morso qualcuno o subito una repressione diretta sul volto. I segni lasciati da un’aggressione sono assenti. Insomma, quella traccia è più un’ombra che una prova.
La conseguenza è una critica agli attuali metodi di indagine, che sembrano puntare a raccogliere un numero crescente di tamponi a tappeto tra la popolazione maschile di Garlasco, rischiando di confondere più che chiarire. Questo approccio, secondo Bruzzone, rincorre un fantasma invece di un vero sospetto.
Le nuove ricerche sul dna e i dubbi sulle strategie investigative
L’identificazione dell’“Ignoto 3” ha spinto gli inquirenti a effettuare ulteriori prelievi di DNA tra le persone conosciute da Chiara Poggi, nel tentativo di incrociare dati e profili genetici. L’obiettivo è capire se ci sia un collegamento nascosto fra la vittima e un eventuale aggressore sconosciuto. Ma dall’analisi delle dichiarazioni della criminologa emerge un forte scetticismo circa queste operazioni.
Bruzzone ritiene che la raccolta massiccia di campioni rischia di essere vana. La sua analisi suggerisce che non esisterebbe alcun complice o aggressore “fantasma” legato all’omicidio diverso da quelli già noti. Questo fa riflettere sulle risorse impegnate nelle indagini e sulla direzione intrapresa. La ricerca di tracce di DNA fra conoscenti e amici potrebbe generare solo confusione o false piste, in assenza di elementi evidenti che spingano in quella direzione.
La situazione descritta mette in luce anche le difficoltà di un processo investigativo che si scontra con prove frammentarie e materiali genetici di dubbia qualità e interpretazione.
Il dna sotto le unghie, il caso Andrea Sempio e le dispute sui materiali probatori
Uno degli aspetti più delicati del caso riguarda il DNA reperito sotto le unghie della vittima nel corso delle prime indagini sul delitto, attribuito all’allora sospettato Andrea Sempio. Bruzzone ha ribadito come quell’associazione non sia mai stata sicura. Nel 2014, uno dei consulenti, De Stefano, ha considerato quel materiale “degradato” e quindi inutilizzabile per confronti affidabili. Anche il successivo perito Emiliano Giardina condivideva questa valutazione, tanto che quel campione non è più disponibile fisicamente, esiste solo la documentazione.
La nuova perizia affidata a Denise Albani dovrà chiarire meglio il contenuto di quei dati, ma al momento l’ipotesi di un collegamento certo con Sempio appare debole. La mancanza di materiale integro rende difficile trasformare quella traccia in una prova processuale concreta. Questa situazione, inoltre, alimenta il dibattito sulla validità delle prime analisi e sulla solidità dell’impianto accusatorio costruito negli anni.
Impronta 33: un indizio poco convincente e la questione dell’incidente probatorio
Fra gli elementi raccolti dagli inquirenti spicca un’impronta definita come “impronta 33”, rinvenuta su un muro vicino alla scala d’accesso alla cantina. Si era pensato potesse rappresentare un riscontro importante per individuare il colpevole o almeno tracciare un nuovo profilo genetico presente sulla scena.
Secondo la criminologa però, quell’impronta è fatta di dettagli troppo minuti e non sufficientemente significativi. Il confronto con colleghi esperti ha mostrato che ciò che emerge da quell’impronta può corrispondere a poche coincidenze e nulla più. Si aggiunge il fatto che quell’evidenza non è stata inserita in un incidente probatorio, strumento chiave per blindare le prove prima di un eventuale processo, lasciando intendere che la sua rilevanza sia stata giudicata marginale o secondaria dagli inquirenti.
Il dubbio è che la “impronta 33” non rappresenti un elemento decisivo nella ricostruzione del delitto, ma resti un dettaglio tecnico privo di peso giudiziario.
Prospettive attuali sulle indagini e i presunti scenari alternativi
Si parla anche della possibilità di esaminare altri tipi di accertamenti, come lettere, scritti personali o analisi psicologiche di persone vicine alla vittima. Bruzzone invita alla cautela: se esistessero indizi concreti di nuovi sospetti o complici, almeno una misura cautelare sarebbe stata già disposta. La ricerca ossessiva della minima traccia di DNA appare un criterio debole, frutto di suggerimenti più che di prove solide.
Negli ultimi tempi la narrazione del delitto si è spesso spostata: si è parlato di Chiara che avesse consumato colazione con i suoi assassini, idea smentita poi dai fatti. I reperti nella spazzatura contengono solo materiale genetico riconducibile a Stasi, principale imputato, il che complica ulteriormente la storyline di un accordo o complicità nascosta.
Le indagini sembrano quindi oscillare tra ipotesi molto labili e conferme che tendono a confermare quanto emerso nelle fasi precedenti del processo, senza però fornire nuovi svarioni o verità alternative accertate.
Fragile quadro probatorio e limiti degli sviluppi futuri nelle fasi successive
La dichiarazione finale di Bruzzone, sulla base di quanto accumulato nelle nuove analisi andate avanti in questi mesi, indica che la Procura dovrà fare un bilancio realistico di quelle prove. È probabile, alla luce dei risultati visti, che non si arrivi a un processo. L’omicidio di Chiara Poggi resta un caso doloroso, con un colpevole che ha manifestato violenza brutale, secondo le parole dell’esperta.
Gli errori delle prime fasi, come la cancellazione di dati importanti dal pc il giorno dell’omicidio, hanno reso più complessa la ricostruzione del motivo e del contesto dell’omicidio. Inoltre, la sentenza passata in giudicato ha escluso qualsiasi concorso, lasciando il campo pulito per chiudere quei capitoli.
Se si vuole approfondire nuovi scenari, prima si dovrà escludere totalmente la responsabilità di Stasi, cosa che per ora non è in discussione. L’auspicio di Bruzzone, pur rispettando il lavoro degli investigatori, è che si sappia perseverare nei fatti e anche ammettere pubblicamente quando non ci sono elementi per andare oltre.
Il caso resta aperto, con molte domande senza risposta e una ricerca instancabile di verità nei dettagli più sottili.
Ultimo aggiornamento il 17 Luglio 2025 da Luca Moretti