Nicolas Philibert, documentarista francese, ha passato mesi interi dentro i reparti psichiatrici, osservando da vicino la vita di chi ci vive e lavora. Ne è nata una trilogia che non nasconde nulla: mostra la condizione dei pazienti e il mondo che li circonda senza filtri. Dalla Clinique de la Borde all’Adamant, fino ai reparti Averroès e Rosa Parks, il regista mette a fuoco i limiti della psichiatria pubblica francese, i rapporti tra operatori e pazienti e quei rari, ma preziosi, momenti di umanità e speranza che si fanno strada nonostante tutto.
Tra dubbi e incontri: il viaggio di Philibert nei reparti psichiatrici
Nel 1995, dopo anni di esitazioni, Philibert accettò un invito alla Clinique de la Borde, una struttura psichiatrica fuori Parigi. All’inizio non era convinto: temeva di trasformare la malattia mentale in uno spettacolo e aveva paura di violare la privacy di chi viveva lì. Ma varcata la soglia, incontrò pazienti e operatori che lo incoraggiarono a proseguire. Quell’esperienza gli fece capire che era necessario affrontare i propri timori e pregiudizi. Da lì nacque il suo primo film su questo tema.
Passarono venticinque anni prima che tornasse in quel mondo, questa volta all’Adamant, un centro diurno psichiatrico galleggiante ancorato sulla Senna dal 2010. Quel luogo “utopico” gli permise di riflettere ancora più a fondo sul senso della psichiatria e sul ruolo che la società riserva a chi soffre di disturbi mentali. Qui Philibert trovò persone ai margini, ma capaci di offrire uno sguardo diverso, spingendo chi li osservava a mettere in discussione idee spesso superficiali o sbagliate.
Un sistema in crisi: la psichiatria pubblica sotto pressione
Per Philibert la psichiatria pubblica francese è in difficoltà. Racconta di strutture trascurate e sotto organico. I pazienti, spesso, sono considerati casi persi, a cui si preferisce risparmiare piuttosto che investire. Così mancano medici e infermieri, le strutture sono fatiscenti e il tempo per stare davvero con i pazienti è sempre meno.
Questa situazione porta a scelte dure, come dimettere persone per far posto a nuovi arrivi, lasciando molti senza un adeguato sostegno. Nonostante tutto, ci sono operatori e medici che cercano di ritrovare quel tempo perso, offrendo un modo di curare più attento e umano.
Il problema coinvolge anche la formazione: molti giovani specialisti evitano la psichiatria pubblica per le condizioni di lavoro difficili. Dalla Clinique de la Borde all’Adamant emergono storie di resistenza e tentativi di cura diversi, ma il quadro generale resta quello di un sistema in crisi, che pesa sulle vite di chi ne ha bisogno.
Filmare con le persone, non su di loro: lo sguardo di Philibert
Philibert si distanzia da ogni approccio voyeuristico. Il suo cinema nasce da rapporti veri, costruiti con chi riprende. Non si nasconde, non scappa. Ripete sempre che fa film “con” le persone, non “su” di loro, evitando ogni sfruttamento o distacco freddo.
Questo metodo richiede presenza continua e fiducia, ed è grazie a questo che riesce a mostrare la vita, la sofferenza e la quotidianità nei reparti senza semplificare o cadere nella retorica.
I suoi lavori sono stati premiati anche fuori dalla Francia, con L’Adamant che si è aggiudicato l’Orso d’Oro alla Berlinale, a conferma del valore di questo tipo di racconto, capace di parlare a un pubblico ampio e di tenere testa ai film di finzione nei festival più importanti.
Piccoli gesti, grandi rivoluzioni: l’umanità nei reparti
La trilogia di Philibert mette in luce anche quei piccoli momenti che diventano grandi. Nel terzo film, per esempio, c’è una scena che sembra un miracolo: due tecnici riparano a domicilio una vecchia macchina da scrivere, un oggetto molto importante per la paziente protagonista. Non sanno nemmeno bene come, ma la macchina torna a funzionare, scatenando una gioia autentica.
Sono gesti semplici, ma carichi di significato. Dietro i protocolli e le regole, si nasconde una vitalità che emerge in quei piccoli attimi, grazie al lavoro di chi ci mette cuore e ascolto. Un ascolto che diventa quasi una rivoluzione in tempi in cui domina la comunicazione superficiale e frammentata.
Nei reparti Averroès e Rosa Parks i pazienti appaiono come persone che hanno bisogno di essere viste e ascoltate, di trovare un contatto umano in un ambiente spesso stretto tra pressioni e risorse scarse. Gli operatori cercano di resistere alle logiche di fretta e abbandono, nonostante il sistema li costringa a scelte difficili ogni giorno.
Il cinema come strumento di visibilità e resistenza
Philibert spiega che il suo cinema non è politico nel senso classico, ma racconta storie che mostrano realtà spesso ignorate. Vuole far sentire il valore di chi vive ai margini e stimolare chi guarda a riflettere su queste vite.
Sa che i film non cambiano il mondo da soli, ma sostengono chi li vede, alimentando una resistenza silenziosa alle difficoltà. Come un laboratorio artistico per un paziente, il documentario aiuta a ricucire legami e a trovare un senso.
Le persone riprese dicono di sentirsi viste in modo nuovo, più umano e meno stereotipato. Smentiscono l’idea di essere pericolose, ricordando che le statistiche non li distinguono da chi sta fuori dalle strutture.
Con questo lavoro, Philibert lascia un documento che mostra la psichiatria come uno specchio della società: capace di rivelare tensioni e fragilità nascoste, ma anche la possibilità di cura e comprensione.
Ultimo aggiornamento il 24 Luglio 2025 da Elisa Romano