Il confronto tra il libro originale di Lois Duncan e il film “So cosa hai fatto“, diretto da Jim Gillespie, mette in luce un divario netto nella rappresentazione della violenza. L’autrice, che ha scritto il romanzo nel 1973, si è detta profondamente a disagio di fronte alla versione cinematografica, molto più cruenta rispetto alla delicatezza del testo. Qui raccontiamo come è nato il film, cosa ha spinto Duncan a reagire così e il peso di un dolore personale dietro le sue parole.
Da un romanzo anni ’70 a un thriller duro e sanguinoso
Il film “So cosa hai fatto” nasce dall’idea di Kevin Williamson, lo stesso dietro il successo di “Scream“. Nel 1997, Williamson ha scelto un altro romanzo di Duncan per portarlo sul grande schermo. Il libro, uscito nel ’73, racconta la storia di quattro amici che investono accidentalmente un ciclista e cercano di nascondere tutto. Ma presto cominciano a ricevere minacce da uno sconosciuto che dice di aver visto l’incidente.
Williamson ha preso questa trama e l’ha trasformata in un thriller molto più cupo e violento rispetto al libro. Nel film, l’assassino non è più un misterioso testimone, ma il pescatore che i ragazzi credevano morto. E le scene di omicidio mostrano sangue e violenza senza filtri. Questo ha creato un distacco netto dall’originale, che giocava molto più sulla tensione psicologica e meno sull’azione cruda.
Il percorso che ha portato a questo film è raccontato nel libro “Screaming and Conjuring: The Resurrection and Unstoppable Rise of the Modern Horror Movie“. Lì si ripercorrono le scelte di produzione e regia, che hanno dato vita a un racconto capace di spaventare sia i giovani che gli adulti con immagini forti e una suspense palpabile.
Perché Lois Duncan è rimasta scioccata dalla violenza nel film
La ragione principale dello shock di Duncan è la violenza esasperata rispetto al suo romanzo. Nei suoi libri, la scrittrice costruiva tensione e mistero senza mai scendere in scene troppo esplicite o cruente. Il film ha cambiato tono e contenuti in modo drastico, andando oltre quello che lei immaginava.
Duncan non è stata coinvolta nella fase di adattamento e non è stata avvertita del salto di violenza nella sceneggiatura. Questo l’ha fatta sentire lontana dal film, un’opera che sembrava aver perso la sua parte più sottile e psicologica. Le morti sono mostrate senza mezzi termini, con scene d’inseguimenti cariche di adrenalina e sangue.
Questo distacco ha creato in lei un senso di disagio e di ferita emotiva. Come creatrice dei personaggi e della trama, si è sentita privata del controllo sulla sua storia. Non era solo una questione di cambiamenti, ma di un ribaltamento totale verso un racconto più crudo e diretto.
Un dolore personale dietro la reazione di Lois Duncan alla violenza del film
La reazione di Duncan non nasce solo dal confronto artistico, ma affonda radici in un dramma personale. In un’intervista del 2010, la scrittrice ha raccontato come la violenza mostrata nel film le abbia riaperto ferite profonde legate alla morte della figlia Kait, adolescente, uccisa anni prima in un fatto di cronaca.
Kait era stata inseguita in auto e poi uccisa da colpi di arma da fuoco. Vedere sullo schermo scene di violenza, e sentire il pubblico ridere o urlare durante quelle sequenze, è stato per Duncan un colpo durissimo. Lei aveva vissuto sulla propria pelle cosa significa subire una violenza reale, tragica.
Quelle immagini non erano per lei solo effetti speciali, ma il richiamo a momenti di dolore vero. Questa esperienza ha reso ancora più forte il suo disagio per l’adattamento, che ha rappresentato per lei uno shock sia artistico sia emotivo.
Lois Duncan resta così un caso emblematico di autrice che ha visto la sua storia trasformarsi in qualcosa di molto diverso da quello che aveva immaginato. Un racconto che tocca temi duri e personali, ben oltre il semplice thriller.
Ultimo aggiornamento il 17 Luglio 2025 da Andrea Ricci