Le iene tornano sul caso di andrea di nino: nuove rivelazioni sulla morte nel carcere mammagialla di viterbo
La morte di Andrea Di Nino nel carcere di Mammagialla riaccende il dibattito su violenze e diritti dei detenuti, con nuove testimonianze che suggeriscono un possibile omicidio anziché suicidio.

La morte di Andrea Di Nino nel carcere di Mammagialla nel 2018 è al centro di sospetti di omicidio e abusi da parte della polizia penitenziaria, con nuove testimonianze e dubbi sull’autopsia che mettono in discussione la versione ufficiale di suicidio. - Unita.tv
La morte di Andrea Di Nino, avvenuta nel carcere di Mammagialla a Viterbo nel maggio del 2018, torna al centro dell’attenzione pubblica grazie a un’inchiesta delle Iene. Il caso ha sollevato dubbi sul movente e sulle modalità del decesso, tra ipotesi di suicidio e pesanti accuse di omicidio. Questa vicenda accende di nuovo i riflettori sulle condizioni carcerarie e sulle questioni che riguardano i diritti dei detenuti.
I racconti degli ex detenuti e le accuse contro la squadra penitenziaria
Il reportage realizzato da Alessandro Sortino e Veronica Di Benedetto Montaccini porta in luce nuove testimonianze raccolte dentro e fuori il carcere. Roberto Toselli, ex detenuto e vicino di cella di Andrea Di Nino, si presenta come un testimone chiave. Secondo Toselli, la morte di Di Nino non è stata un suicidio, ma un omicidio compiuto da agenti penitenziari.
La squadra della morte
Toselli nomina cinque agenti coinvolti, basandosi sui soprannomi usati in carcere: ispettore, caramella, bomboletta, terminator e sceriffo. Questi sarebbero membri di quella che lui definisce “la squadretta della morte.” Racconta di aver osservato ciò che accadeva attraverso uno specchietto e di aver udito urla e richieste disperate d’aiuto da parte di Andrea, che gridava “mamma, mamma.” Poco dopo gli agenti avrebbero portato via il corpo di Di Nino, confermando la sua morte con frasi tese e rassegnate.
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Toselli aveva già dato una testimonianza scritta, depositata presso la procura di Viterbo. L’indagine per omicidio aperta a seguito di questa denuncia cerca di verificare i fatti e di far luce su possibili responsabilità. Nel contesto, emergono diverse zone d’ombra relative alle procedure investigative e agli accertamenti autoptici.
Dubbi sull’autopsia e contraddizioni mediche
Il medico legale Pasquale Bacco ha espresso forti dubbi sulla versione ufficiale che parla di suicidio per impiccamento. La relazione autoptica mostra elementi in contraddizione con quanto ci si aspetterebbe da un caso simile.
Ad esempio, la mancanza di un solco netto provocato dal lenzuolo attorno al collo è una delle anomalie più evidenti. Le ferite riscontrate appaiono solo laterali, senza i segni distintivi di un classico impiccamento. Il medico richiama inoltre il fatto che l’osso ioide risulti intatto: un dato raro per chi si è impiccato, visto che nella maggior parte dei casi questo osso si rompe. Un altro elemento fuori luogo è il colore del volto di Di Nino, che risulta roseo mentre un impiccato ha solitamente una colorazione bluastra o cianotica.
Infine, mancano segnali coerenti con la presenza di sangue nelle estremità delle mani o dei piedi, cosa che succederebbe se l’asfissia fosse avvenuta come da teoria ufficiale. Tutti questi dettagli hanno spinto gli esperti a richiedere chiarimenti e a sospettare che la morte possa essere stata provocata da violenze o trattenute non dichiarate.
Un contesto di violenze e abusi nel carcere di mammagialla
Dietro il caso Di Nino sembra nascondersi un quadro più ampio di abusi e violenze nel penitenziario di Viterbo, già segnalato in passato. Diverse lettere inviate da detenuti, raccolte dall’associazione Antigone, descrivono aggressioni fisiche continue, con pugni, calci e danni agli organi interni. I corpi dei reclusi portano tracce di cicatrici e ferite attribuite a maltrattamenti all’interno della struttura.
Nel 2019 anche il Consiglio d’Europa ha segnalato la situazione definendola preoccupante. Il rapporto cita proprio Mammagialla denunciando l’esistenza di una “squadretta punitiva” che agirebbe impunemente. Questa stessa squadra è stata menzionata dal testimone Toselli come responsabile di botte e intimidazioni fatali.
Tali elementi indicano che la morte di Di Nino potrebbe non essere un caso isolato, ma parte di pratiche violente sistematiche. Gli abusi riscontrati continuerebbero a rappresentare un problema grave per i diritti umani e la legalità nel sistema penitenziario italiano.
Le dichiarazioni degli agenti e la posizione ufficiale sul caso
Nell’inchiesta, sono comparsi anche agenti ancora in servizio a Mammagialla. Uno di loro ha dichiarato di aver trovato Andrea Di Nino a terra già morto quel giorno e di aver svolto il suo lavoro usando le procedure previste. Ammette però che Di Nino non doveva trovarsi nel reparto isolamento, dato che esisteva un certificato medico che ne dichiarava l’“inidoneità all’isolamento” a causa di problemi di salute mentale e fisica, tra cui episodi di epilessia.
Il certificato mostra che l’ingresso di Di Nino in isolamento era controindicata, ma ciò non ha impedito la sua permanenza in quelle condizioni. Questa discrepanza solleva interrogativi sulle responsabilità dirette del personale e della direzione carceraria.
Al momento, è in corso un processo per omicidio colposo per la morte di Andrea. Tra gli imputati ci sono un medico penitenziario, un assistente capo della polizia penitenziaria, il medico di guardia e il direttore della casa circondariale, che però è stato assolto in primo e secondo grado.
La famiglia di andrea di nino e le richieste di giustizia
La famiglia Di Nino ha sempre contestato la versione ufficiale che parla di suicidio. Hanno affidato la loro difesa all’avvocato Nicola Trisciuoglio, sostenendo fin da subito che Andrea amava la vita e aveva progetti per il futuro, soprattutto con i suoi cinque figli. Questi aspetti non si conciliano con l’idea di un gesto volontario come il suicidio.
Durante un incontro con l’inviato delle Iene, la famiglia ha raccontato dell’ultima visita ad Andrea. Lo avevano trovato agitato, e lui aveva riferito di aver subito minacce dagli agenti: “non esci vivo di qui”, avevano detto. A quelle parole si lega il rifiuto categorico di credere all’ipotesi che si sia impiccato in autonomia.
L’appello della famiglia e degli inquirenti coinvolti è per una verità completa e una giustizia che riconosca le responsabilità di quanto accaduto quel 21 maggio nel carcere di Mammagialla. Lo sviluppo delle indagini manterrà alta l’attenzione su un caso che segna il rapporto tra carcere e diritti umani in Italia.