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Laure calamý tra cinema e vita : un racconto sincero tra disabilità , amore e libertà

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Laure calamý torna a far parlare di sé con un film capace di far ridere e commuovere allo stesso tempo. “Tutto l’amore che serve”, diretto dalla giovane regista anne-sophie Bailly, affronta il delicato tema della disabilità cognitiva e delle relazioni umane che cambiano. Il film, che ha fatto tappa all’ultima mostra di Venezia e arriverà al cinema il 19 giugno, racconta la storia di una madre e di suo figlio alle prese con un nuovo capitolo della loro vita. In un contesto in cui la rappresentazione delL’Handicap cerca un linguaggio autentico e senza pietismi, calamý e Bailly si muovono con un approccio fresco, diretto e umano.

Una madre , un figlio e una notizia che stravolge il quotidiano

Mona è la madre di Joël, un trentenne con disabilità cognitiva che ha occupato quasi tutta la sua esistenza. Il film parte da un momento cruciale: Joël annuncia a sua madre di essersi innamorato di una collega di lavoro e, sorpresa più grande, che aspetta un figlio. A questo punto, Joël decide di trasferirsi con la sua compagna, lasciando Mona davanti a un futuro con più libertà ma anche pieno di incognite e paure. La rivoluzione emotiva che vive Mona non è fatta solo di gioia, ma anche di ansia, senso di colpa e un certo smarrimento. La vita di questa donna ruota intorno a suo figlio, e ora deve imparare a ritagliarsi uno spazio diverso, a volte difficile da immaginare. Il film fa emergere con delicatezza questo passaggio cruciale, raccontando le emozioni con sincerità senza cadere nella retorica. Nei dialoghi, nelle espressioni di calamý, si sente il peso e la forza nascosta in chi ha vissuto situazioni complesse.

Laure calamý , attrice scelta dai ruoli non facili

Laure calamý interpreta spesso donne che convivono con sfide reali. Non è detto che scelga lei questi ruoli, anzi sembra quasi che siano i personaggi stessi a cercarla. L’attrice scherza dicendo “interpreti eroine di situazioni complicate perché un personaggio a cui va tutto liscio sarebbe noioso.” In questo film in particolare, calamý ha apprezzato il percorso della regista anne-sophie Bailly, ex attrice giovane e decisa a raccontare una donna della sua età, lontana dai soliti stereotipi. Il racconto non ha una morale evidente, e questo lascia spazio a una narrazione più naturale e meno finalizzata a dare lezioni. La presenza di calamý ha garantito solidità al progetto. La sua esperienza sul set ha permesso di esplorare la complessità senza filtri o pietismi, concentrandosi sul valore umano dei protagonisti. In molti dei suoi ruoli emergono donne che affrontano vite difficili, ma senza mai perdere la loro forza e dignità.

Anne – sophie bailly e la scelta di un racconto autentico Sull’ handicap

La regista anne-sophie Bailly ha voluto lavorare con persone che vivono realmente situazioni di handicap, evitando attori che semplicemente recitano. Questo approccio evita il patetismo e mostra quanto le persone nelle loro difficoltà cerchino di mantenere pudore e dignità. Nel film, ogni tanto emergono esplosioni emotive, normali e necessarie, perché anche chi vive L’Handicap ha bisogno di sfogarsi. Bailly ha costruito un film che valorizza l’emancipazione di due persone: una madre e un figlio. La storia esce fuori dagli schemi di un semplice film sulL’Handicap per raccontare un rapporto universale, quello tra genitore e figlio in un contesto particolare. La regista sottolinea come chiunque abbia limiti o fragilità, eppure la relazione umana resta centrale per tutti. Nel film non compare mai un tono compassionevole, bensì un racconto diretto e rispettoso, che dona dignità e spazio ai protagonisti.

Il cinema e il teatro come strumenti di cura e confronto

Laure calamý ha raccontato come la sua esperienza personale sia stata influenzata dalla famiglia e dal teatro. I suoi genitori infatti lavorano nel campo sanitario, ma il suo primo vero contatto con la cura delle emozioni è arrivato dal palco di un teatro. Per lei il teatro è come una medicina, uno spazio dove si prova, si respira insieme, si vive una catarsi condivisa. Un’attrice le disse una volta di pensare a tutte le donne che hanno perso un figlio quando interpreta quel dolore, un richiamo a muoversi nel profondo dell’umanità. L’arte a suo avviso ricopre un ruolo fondamentale nel far vibrare emozioni difficili da esprimere. La regista Bailly ha voluto rifuggire dall’idea di raccontare il disagio con pietismo, punterà invece a mostrare la forza di chi vive con limiti senza ridurlo a un tema da film. Le fragilità sono dentro tutti.

Girare scene intime con una regista attrice cambia il modo di lavorare

Lavorare con anne-sophie Bailly, che viene dal teatro come calamý, ha creato un clima di collaborazione diversa soprattutto nelle scene intime. Nel film ci sono momenti di sesso costruiti con delicatezza e attenzione, pensati per catturare il piacere femminile in modo naturale e lento. La stessa calamý ha raccontato che lei e geert van rampelberg, suo partner artistico nel film, hanno trovato una sintonia immediata, grazie al loro passato teatrale, muovendosi quasi come danzatori sul set. Questa chimica ha reso il lavoro più spontaneo, con poca necessità di spiegazioni. La presenza di una coordinatrice dell’intimità ha garantito che tutto si svolgesse in sicurezza, occupandosi degli aspetti tecnici e della tutela sul set. Questa figura ha permesso di parlare apertamente delle scene più delicate, rendendo il ambiente di lavoro più sereno. Calamý sottolinea come questi momenti sul set abbiano rappresentato per lei una vera rivoluzione mentale, un modo nuovo di affrontare la recitazione e la rappresentazione del corpo.

L’uscita del film sarà un’occasione per riflettere sul rapporto tra genitori e figli quando la vita cambia all’improvviso. In “tutto l’amore che serve” si vede come l’amore si adatta alle nuove libertà ma fatica a rinunciare a una quotidianità consolidata. È una storia di crescita e cambiamento raccontata con rispetto e senza sconti, capace di colpire chiunque si trovi a vivere, anche in parte, questo tipo di esperienza.

Written by
Davide Galli

Davide Galli scrive per capire, non solo per raccontare. Blogger dallo stile asciutto e riflessivo, attraversa i temi di cronaca, politica, attualità, spettacolo, cultura e salute con uno sguardo mai convenzionale. Nei suoi articoli c’è sempre una domanda aperta, un invito a leggere tra le righe e a non fermarsi alla superficie.

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