“Il rapimento di Arabella” segna il ritorno di Carolina Cavalli al grande schermo con una proposta che si muove tra sogni e realtà sfuggenti. Il film, atteso nei cinema italiani dal 4 dicembre 2025, racconta un viaggio personale e intimo, interpretato da Benedetta Porcaroli e Lucrezia Guglielmino, con un’ambientazione che lascia volutamente fuori schema i riferimenti geografici e narrativi tradizionali. La pellicola è stata presentata nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia 82, confermando il talento di Cavalli in un cinema di riflessione e stile narrativo originale.
Un film di contrasti e suggestioni tra sogno e realtà senza confini precisi
Carolina Cavalli struttura il racconto de “Il rapimento di Arabella” con uno sguardo che si concede poche certezze spazio-temporali. Nel film la protagonista Holly, interpretata da Benedetta Porcaroli, si aggira in un luogo indefinito, un’area raccontata con una scenografia curata da Martino Bonanomi che sottolinea la natura alienante e senza nome dell’ambientazione. Holly appare insicura e distante da sé stessa: alla soglia dei trent’anni sente di non coincidere con la propria immagine e si definisce come una versione “sbagliata” di se stessa. Nel suo vagabondare si imbatte in Arabella, una ragazzina interpretata da Lucrezia Guglielmino, che sfugge al controllo del padre, uno scrittore interpretato da Chris Pine.
Questo incontro, quasi casuale, diventa il centro della narrazione. Il rapporto tra le due si muove su un terreno di fuga dalle regole e di una realtà deformata dai sogni. Holly in Arabella vede una distorsione della propria infanzia, come se avesse trovato una porta verso ciò che non è riuscita a essere, usando il racconto dei cosiddetti “buchi spazio-tempo” per spiegare quel senso di disorientamento. Lei è spesso invischiata in gesti semplici, come mangiare patatine nel parcheggio di un fast food decadente, mentre l’altra ragazza sembra desiderare una vita senza costrizioni familiari o sociali. Il tema del “rapimento” si associa così a una fuga dolce e condivisa, più metafora di libertà interiore che cronaca di un crimine.
Le protagoniste e il lavoro sulle identità fragili e solitarie
Benedetta Porcaroli e Lucrezia Guglielmino incarnano due personaggi che, attraverso il loro rapporto, descrivono fratture individuali comuni ma profonde. Holly assume gli atteggiamenti di una persona incerta e disillusa, incapace di trovare un senso nei propri giorni. Arabella, più giovane e ribelle, si muove con sguardi curiosi ma sfuggenti, quasi una manifestazione di quel “fuori dal tempo” che permea il film.
Il rapporto tra le due si sviluppa senza una direzione precisa, in una serie di momenti che esplorano la solitudine, le mancanze e le speranze. La regista Cavalli si avvale del montaggio di Babak Jalali e di un sottofondo musicale curato da Thomas Moked Blum e Noaz Deshe. Questo lavoro di squadra rafforza la natura intima della pellicola e il suo intento di restituire uno spaccato emotivo più che narrativo. Dal confronto tra le protagoniste emerge un racconto di tentativo di riscatto personale, di riconciliazione con il passato e con le occasioni perdute.
Un cinema che guarda alle radici del racconto con riferimenti dichiarati
“Il rapimento di Arabella” si nutre di richiami a opere e autori che hanno saputo coniugare realtà e immaginazione. La scelta di un nome come Arabella, ricco di suggestioni storiche e letterarie , si accompagna a una narrazione che sfida etichette e generi cinematografici. Il film si collega a un certo tipo di cinema europeo contemporaneo, con richiami al lavoro di registi come Andrea Arnold, noto per le sue storie di isolamento e vita marginale, ma anche a uno stile calmo e riflessivo che ricorda Aki Kaurismäki e Roy Andersson.
Questo mix restituisce una pellicola che viaggia tra realismo magico e picaresco, raccontando storie di quotidianità sospesa, di figure che sembrano vagare nel limbo di una vita mai del tutto definita. Le immagini — spesso illuminate dalle tinte calde del tardo pomeriggio — accompagnano la riflessione sul tempo e su ciò che avremmo potuto essere, sulle scelte non fatte e sugli incroci perduti.
Un racconto sul confronto con il passato e una nuova accettazione di sé
Il film affronta la solitudine, l’ansia e la crisi identitaria con un tono che sfiora la leggerezza senza perdere profondità. La regista parte da spunti tratti da discussioni online, in particolare su Reddit, per aprire un discorso sul bisogno di accettare le proprie fragilità: la figura di Holly che si confronta con il proprio “lato sbagliato” suggerisce proprio questa idea. Nulla nel passato torna possibile, ma solo affrontandolo si può andare avanti, guardando a ciò che ci attende.
La storia di Holly e Arabella si svolge in un’atmosfera sospesa tra realtà e immaginazione. Non ci sono risposte facili o conclusioni nette, ma uno spazio aperto dove si riconoscono le difficoltà del presente e le possibilità per il futuro. Il film include momenti di ironia e leggerezza che stemperano le tensioni senza banalizzare i temi trattati. Si presenta così come una pellicola da scoprire sul grande schermo, un racconto che introduce nuove figure femminili nel cinema italiano, giocando con le contraddizioni e i silenzi di chi sceglie di non arrendersi.
Ultimo aggiornamento il 28 Agosto 2025 da Serena Fontana