Home Il racconto dietro il capolavoro di godard: nuovo film di richard linklater esplora i venti giorni della nouvelle vague

Il racconto dietro il capolavoro di godard: nuovo film di richard linklater esplora i venti giorni della nouvelle vague

Un film di Richard Linklater esplora i venti giorni di riprese del capolavoro di Jean-Luc Godard, rivelando tensioni creative e innovazioni che hanno rivoluzionato il panorama cinematografico.

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Il film di Richard Linklater ricostruisce in modo fedele e immersivo i venti giorni di riprese del primo lungometraggio rivoluzionario di Jean-Luc Godard, mostrando le tensioni, le innovazioni e le sfide che hanno trasformato il cinema negli anni '60. - Unita.tv

Un film racconta nei minimi dettagli cosa è successo sul set di un vero capolavoro della storia del cinema. Era il primo lungometraggio di Jean-Luc Godard, un film che ha rivoluzionato il modo di fare cinema e ha segnato la nascita di una nuova era. La pellicola di Richard Linklater si concentra proprio sui venti giorni di riprese che hanno dato vita a questo capolavoro, mostrando le tensioni, le scelte fuori dagli schemi e le sfide che hanno accompagnato la realizzazione.

Il contesto della rivoluzione cinematografica e la nascita del progetto di linklater

Negli anni ’60 la mouvance dei Cahiers du Cinema dava voce a giovani critici diventati registi, pronti a rivoluzionare il panorama cinematografico francese e mondiale. Jean-Luc Godard era tra questi, un giovane di 25 anni con un corto alle spalle ma un grande desiderio di trasformare la sua visione in un lungometraggio. Si trovava nel momento in cui François Truffaut, con i suoi 400 colpi, aveva conquistato la scena, dimostrando che era possibile fare cinema in modo nuovo.

Godard partiva da un’idea di cinema come vera e propria “vocazione”, non solo un mestiere o passatempo. Il produttore Georges de Beauregard propose a Godard una sceneggiatura scritta da Truffaut, ma il regista la stravolse, rifacendosi a istinto e necessità, cambiando persino l’epilogo: la morte del protagonista, che Truffaut non aveva previsto. Questa mossa ha segnato la natura stessa del film, fatto più di improvvisazioni e innovazioni che di sceneggiatura rigida.

Le riprese movimentate e le scelte tecniche di godard

Le riprese duravano appena venti giorni, ma furono una vera battaglia. Jean-Luc Godard mise in campo metodi poco ortodossi rispetto agli standard dell’epoca, senza seguire piani di lavorazione precisi. Le scene venivano girate senza autorizzazioni formali e spesso con l’aiuto di stratagemmi .

La tecnologia scelta da Godard era anch’essa atipica: una macchina da presa leggera, tecnicamente superata, con l’audio fuori sincrono. Gli attori seguivano indicazioni fluide e potevano modificare o improvvisare i dialoghi, tanto il doppiaggio veniva lavorato a film concluso. Jean-Paul Belmondo, protagonista e volto carismatico, sembrava divertirsi davanti alla telecamera, mentre Jean Seberg, la co-protagonista, cercava una struttura più precisa e rassicurante, mai soddisfatta dalle condizioni caotiche del set.

Gli scontri e la tensione sul set: una guerra creativa

Questi venti giorni furono una lotta costante tra visioni e volontà. Godard si scontrò apertamente con il produttore e in un’occasione arrivò persino alle mani. Nonostante ciò, a film terminato, il regista dichiarò di non poter lavorare se non con amici veri. Il confronto con la troupe fu altrettanto duro: molti non capivano le mosse di un autore che spesso sembrava agire contro ogni regola e logica, specie in sequenze apparentemente illeggibili e difficili da montare.

Anche Seberg, coinvolta in questo turbine, confidava solo ai giorni che restavano alla fine delle riprese. Lo spirito del set era quello di una battaglia, una sfida che alla fine ha segnato la storia del cinema cambiandone il corso definitivamente. Godard mise in gioco la sua idea di cinema senza compromessi, rischiando tutto per realizzare qualcosa di unico.

Nuova luce sulla nuova onda: il film di linklater come esperienza immersiva

Il film di Linklater non è solo per cinefili o addetti ai lavori. Funziona perfettamente anche per chi vuole capire da dove nasce un capolavoro. È girato in bianco e nero, con formato quadrato 4/3, replica esatta dello stile del 1960. Gli attori sono sosia molto somiglianti agli originali, cosa che ha fatto vincere il film già un Oscar per il casting.

Questa ricostruzione fedele mette lo spettatore nel cuore dell’epoca e nell’esperienza stessa di un regista che sfida le convenzioni. Nel contempo, mostra la possibilità di raccontare una storia di cinema con le stesse modalità di chi quel cinema l’ha creato. È una testimonianza quasi tattile dell’energia, delle idee e dei rischi di quei venti giorni.

Una dialettica tra amore e critica secondo la stampa contemporanea

Secondo il quotidiano francese Libération, il film rappresenta più una contraffazione di un making of girato decine d’anni dopo che un vero documentario. Linklater, però, sottolinea che il lavoro artigianale che sta dietro a ogni film è ciò che conta davvero. Girare un film in un Paese lontano, in una lingua poco conosciuta e raccontare un atto di follia artistica come quello di Godard sono gesti che meritano rispetto, anche se sembrano follia pura.

Il film si pone così nel dibattito tra fedeltà storica e rispetto dell’ispirazione artistica. Racconta un periodo in cui la libertà delle idee andava a scontrarsi con le regole tradizionali, cambiandole per sempre. Non è solo un omaggio ma anche un documento capace di evidenziare cosa serva mettere in gioco per fare cinema diverso.