La pellicola d’esordio della regista Mara Fondacaro esplora il delicato tema della maternità attraverso un racconto sospeso tra sogno e incubo. Presentato al festival di Pesaro, il film affronta i timori nascosti di una madre in attesa, tra ricordi tragici e sensazioni claustrofobiche. La regista partenopea costruisce un’atmosfera densa di tensione, in cui la linea tra ciò che è reale e ciò che è immaginario si perde.
Un’atmosfera onirica e inquietante al centro del racconto
Il film si apre con Ada, una donna incinta al nono mese, che vive in una villa isolata nelle campagne insieme al marito Rino. La coppia è segnata dalla perdita del primo figlio, un lutto che si insinua costantemente nella vita di Ada. Mara Fondacaro definisce la sua opera “un incubo di novanta minuti”, caratterizzato da una confusione tra ricordo e percezione. La fotografia di Fabio Paolucci contribuisce a immergere lo spettatore in un ambiente dai colori scuri, quasi notturni, con l’unica eccezione di pochi momenti che offrono una visione più reale.
L’ambientazione, curata da Rossella Tilli, appare come un non-luogo, irriconoscibile e angusto, che amplifica la sensazione di isolamento. Lo spazio fisico si fonde con la mente di Ada, creando uno scenario claustrofobico che si contrappone ai paesaggi esterni, vasti e quasi impenetrabili. Questo dualismo esprime la disparità tra il mondo che circonda la protagonista e il suo universo interiore, schiacciato dalla paura e dal dolore.
Il ruolo fondamentale del sonoro nella costruzione dell’angoscia
Il montaggio sonoro si caratterizza per una scelta insolita. Mara Fondacaro ha voluto allontanarsi da una colonna musicale tradizionale, affidandosi ad Alessandro Ciani per creare un sottofondo fatto di suoni deformati e rumori strozzati. Questi elementi sonori risultano volutamente confusi, come se provenissero dalla mente della protagonista. La voce e i rumori familiari si trasformano in distorsioni che richiamano ricordi spezzati e emozioni sopite, sostenendo l’atmosfera di inquietudine.
La regista ha specificato che il suono più grave, quello che trasmette il senso di oppressione profonda, non viene mai esplicitamente riprodotto. Questo suggerisce uno spazio mentale incancellabile e invisibile, un dolore reso attraverso il non detto. Il risultato è uno spazio sonoro che accompagna lo spettatore dentro il labirinto emotivo di Ada, creando una tensione costante e palpabile.
Una riflessione sulle scelte e la paura del futuro
La storia affronta anche la difficoltà di prendere decisioni e il peso del passato sulla possibilità di ricominciare. Fondacaro racconta la sua difficoltà personale a essere decisa, capovolta positivamente dalla disciplina del lavoro sul set. Il film pone domande sulla crescita personale, soprattutto nel momento in cui si devono scegliere strade complesse e incerte.
Ada e Rino rappresentano due giovani alle prese con la sfida di guardare avanti, mentre sono ancorati a un trauma che incatena la loro vita. Il film ritrae la crescita come un percorso accidentato, in cui l’ignoranza e l’incoscienza diventano parte del tentativo di riappropriarsi della normalità. La vicenda si svolge nell’ombra di una perdita che non scompare mai del tutto, ma dalla quale si prova a emergere.
Un cinema indipendente e poco incline alle vie facili
Mara Fondacaro ha scelto una strada fuori dal circuito commerciale, realizzando un film distante da format rassicuranti e da un’eccessiva semplicità narrativa. A oggi il panorama del cinema indipendente fatica a trovare spazi per produzioni che si allontanano dai generi consolidati. La regista ammette che produrre opere come la sua resta una sfida, anche se riconosce il valore di chi decide di rischiare nonostante le difficoltà.
Il primo figlio non punta a incontrare tutti i gusti, ma a stimolare la riflessione, anche attraverso dettagli apparentemente minori e una cura particolare per l’audio ambientale. Il film insiste sull’importanza di un’esperienza visiva che richiede attenzione, senza cedere a passività o distrazioni. Fondacaro valorizza la funzione del cinema come luogo per interrogarsi, oltre il semplice intrattenimento.
La rappresentazione della maternità nelle immagini e nelle emozioni
Tra le ispirazioni della regista emerge il confronto con opere come Magnolia di Paul Thomas Anderson e Rosemary’s Baby. Questi titoli suggeriscono un modo di narrare la maternità che affronta aspetti inquietanti e marginali, lontani da qualsiasi idealizzazione. Nel contesto attuale, i film sembrano dedicare maggiore spazio alla complessità di questa esperienza.
Secondo Fondacaro la maternità è un tema ampio, che coinvolge chi ha figli e chi no, annodandosi alla società contemporanea in cui il corpo diventa spesso motivo di riflessione. La regista nota il cambiamento con cui si raccontano oggi le difficoltà legate al parto, come la depressione post-partum e il senso di estraneità verso il proprio corpo, temi prima ignorati o censurati. Anche l’uomo si sente più coinvolto in questo racconto, che non si riduce a un racconto di felicità ma cerca di accogliere anche l’ambivalenza dei sentimenti.