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Il cinema ritrovato 2025 a bologna tra restauri, cult e nuovi sguardi sul passato

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Il festival Cinema Ritrovato di Bologna si conferma un appuntamento imperdibile per gli appassionati di cinema classico e restaurato. La 39ª edizione ha proposto una selezione ricca di capolavori del passato, restauri recenti e opere meno conosciute ma fondamentali per comprendere la storia del cinema. In questo articolo racconteremo l’atmosfera della manifestazione, il pubblico che vi partecipa e alcuni dei film più significativi proiettati in questa edizione.

Un festival sotto il sole torrido di bologna

Bologna accoglie ogni anno migliaia di cinefili nella cornice storica della città, nonostante i numerosi cantieri che ne modificano temporaneamente l’aspetto urbano. Il calore estivo quest’anno si è fatto sentire con forza: le temperature elevate hanno accompagnato le giornate del festival rendendo a volte difficile la permanenza nelle sale cinematografiche. Nonostante gli impianti d’aria condizionata presenti nei teatri, molti spettatori hanno lamentato disagi dovuti al caldo intenso.

La città rimane comunque un luogo affascinante da vivere durante l’evento: i ristoranti offrono una varietà gastronomica ampia al punto da far pensare a scene tratte dal film La grande abbuffata di Marco Ferreri, richiamando sensazioni quasi esagerate legate al cibo. Si parla già della possibile modifica delle date per la prossima edizione: spostare il festival alla prima settimana di luglio potrebbe esporre ancora più persone alle temperature elevate tipiche dell’estate bolognese.

Un pubblico internazionale sempre più giovane e numeroso

Il numero degli spettatori cresce anno dopo anno con una partecipazione che supera ormai ogni aspettativa. Non solo le proiezioni serali in piazza Maggiore sono molto richieste; anche quelle nelle altre sedi vanno sold out rapidamente appena aprono le prenotazioni online.

L’afflusso internazionale è evidente: tra le strade del centro si ascoltano lingue provenienti da tutto il mondo mentre professionisti del settore arrivano a Bologna non solo per assistere ai film ma anche per incontri legati ad affari cinematografici. Un elemento importante è la presenza crescente dei giovani studenti italiani e stranieri attratti dalle pellicole classiche o dagli approfondimenti organizzati dal festival.

Questa evoluzione segnala come il cinema d’archivio stia acquisendo rilievo commerciale oltre che culturale; distributori ed esercenti potrebbero cogliere questa tendenza ampliando così l’offerta destinata agli appassionati più giovani.

Yi yi: eleganza formale in un ritratto familiare

Tra i titoli presentati spicca Yi Yi, capolavoro restaurato firmato da Edward Yang. Dopo la prima mondiale avvenuta recentemente a Cannes Classics, anche Bologna ha ospitato questo film lungo 173 minuti che racconta vicende familiari intrecciate con delicatezza narrativa quasi altmaniana.

La trama segue diversi membri di una famiglia taiwanese mostrando momenti quotidiani pieni di emozioni contrastanti senza mai perdere equilibrio nel ritmo o nella forma visiva discreta ma intensa. Il restauro restituisce tutta la grazia originaria dell’opera consentendo allo spettatore moderno una visione immersiva perfetta per iniziare qualsiasi maratona dedicata al cinema ritrovato.

Viale del tramonto: bilanci tra sogno e incubo hollywoodiano

Un altro protagonista indiscusso è stato Viale del tramonto , riportato sul grande schermo grazie ad un nuovo restauro in 4K firmato Billy Wilder poco tempo fa presentato anch’esso a Cannes.

Rivedere questo film significa immergersi nell’atmosfera noir-horror tipica degli anni ’50 dove Norma Desmond rappresenta una diva ossessionata dalla fama ormai perduta ma ancora viva nei suoi sogni tormentosi legati all’ambiente hollywoodiano delle grandi luci dello spettacolo tradizionale. Come sottolinea chi lo ha visto durante questa edizione, bisogna riconoscere quanto David Lynch abbia attinto proprio da questo titolo realizzando Mulholland Drive pochi decenni dopo. La figura tragica della protagonista resta attuale malgrado siano passati tanti anni dai tempi delle cineprese tradizionali sostituite oggi dagli smartphone ovunque presenti nella società contemporanea.

Retrospettive dedicate alla donna sullo schermo

La retrospettiva dedicata alla carriera straordinaria Katherine Hepburn propone titoli come Woman of the Year diretto da George Stevens. Un’opera datata ma sorprendentemente moderna nel modo in cui affronta tematiche maschili-femminili all’interno dei rapporti sentimentali. Il film riflette sulle dinamiche sociali attraverso dialoghi vivaci mettendo in luce differenze culturali ancora oggi rilevanti. Questo tipo d’approccio permette allo spettatore contemporaneo uno sguardo originale su temi classici senza cadere negli stereotipi convenzionali.

Tavernier e simenon nell’orologio sociale francese

L’orologiaio di Saint-Paul segna l’esordio registico importante Bertrand Tavernier. Partito come polar dalle sfumature politiche ambientate nel quartiere omonimo francese, il racconto evolve verso territori drammaticamente psicologici concentrandosi sulla paternità complicata fra vedovo padre interpretatissimo Philippe Noiret, e figlio adolescente accusato d’omicidio. L’eleganza registica accompagna riflessioni sulle tensione social-politiche francesi mentre Noiret domina con intensità emotiva interpretando ruoli complessi fatti tanto dall’amore quanto dall’incomprensione. Tavernier riempie inoltre molte sequenze citazionistiche riferendosi anche indirettamente alle atmosfere ferreriane de La grande abbuffata, suggerendo così continuità culturali profonde.

Diva: nascita estetica del cinéma du look francese

Diva rappresenta uno snodo fondamentale nel panorama cinematografico europeo essendo opera prima Jean-Jacques Beineix, morto recentemente senza ricevere particolare attenzione mediatica. Nonostante ciò Diva continua ad essere punto riferimento emblematico della cosiddetta corrente cinéma du look nata negli anni Ottanta insieme ad altri autori quali Luc Besson o Leos Carax. Questa corrente respingeva realismo narrativo privilegiando immagini potenti, suggestioni stilistiche fortissime mescolate spesso a trame frammentarie. Diva fonde elementi thriller, lirici, surrealisti creando atmosfere pop-rock capaci ancor oggi influenzare registi orientali celebri come Wong Kar-wai. Nel contesto bolognese Diva torna quindi protagonista valorizzando quel periodo storico cruciale dove immagine era sovrana assoluta rispetto ai canoni tradizionali.

Senzatetto sentimentale nelle indagini comenciniane

Senza sapere niente di lei porta invece lo spettatore dentro uno scenario investigativo insolito firmanto Luigi Comencini. Il lavoro mostra aspetti meno notissimi dell’autore italiano attraverso narrazione raffinata, dallo stile vicino alla Nouvelle Vague francese. Protagonista Philippe Leroy interpreta ispettore assicurativo impegnatissimo nell’indagine su morte sospetta. Sullo sfondo emerge Paola Pitagora, in ruolo complesso quello della figlia minore misteriosamente sparita. La sceneggiatura curatissima evidenzia caratterizzazioni psicologiche intense evitando idealizzazioni. I personaggi risultano umani fino alle loro debolezze dando vita ad atmosfere dureggiate ma credibili, rivelando lati nascosti dietro facciate comuni.

Sorcerer rivive grazie al restauro friedkiniano

Sorcerer torna sui grandi schermi dopo oltre dieci anni dalla sua ultima versione restaurata presentara Venezia Classici. Rifacimento americano de Il salario della paura diretto William Friedkin resta opera potente, intensa, piena tensione sia visivamente sia emotivamente. Il ritmo serratissimo scandisce momenti di fatica estrema stress disperazione filtrandoli attraverso immagini rarefatte ma vibranti. L’intensità narrativa riduce dialoghi lasciandoci assorbire sensazioni palpabili trasmesse dai protagonisti guidarti Roy Scheider attorno cui ruota buona parte dell’intero racconto. Alla fine dello spettacolo qualcuno nota ironicamente come Scheider compaia pure nei suoi tre preferiti personali: Lo squalo, All That Jazz, Sorcerer stesso.

Rocky horror picture show compie cinquant’anni tra mito musicale e cult movie

Tra i cinquantenari celebrati troviamo The Rocky Horror Picture Show, musical cult nato dal successo teatrale londinese poi trasposto sullo schermo nel 1975 dal regista Jim Sharman. Progettato inizialmente come b-movie ottenne scarso successo commerciale salvo poi trasformarsi rapidamente fenomeno underground grazie alle proiezioni notturne diventate eventi social-culturali. Un documentario recente racconta storia produzione impatto artistico tramite testimonianze dirette fra cui Richard O’Brien autore testo canzoni interprete Riff Raff. Figlio Linus O’Brien firma regia documentario carico passione energia ricordandone influenza globale sull’identità personale invitando gli spettatori all’accettazione libera. Dont dream it be it risuona forte ancora oggi.

Written by
Rosanna Ricci

Rosanna Ricci racconta il presente come se stesse scrivendo una pagina di diario collettivo. La sua voce è intima, ma mai distante: attraversa con delicatezza temi complessi come cronaca, politica, spettacolo, attualità, cultura e salute, cercando sempre il lato umano delle notizie. Ogni suo post è uno sguardo personale sul mondo, tra empatia e consapevolezza.

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