Il 6 maggio 2025, Rai 3 ha trasmesso una puntata di un giorno in pretura dedicata al processo che ha scosso l’opinione pubblica di Bari e non solo. Al centro della vicenda c’è la morte di una bambina di tre mesi, Emanuela Di Fonzo, avvenuta nel 2016. L’accusa ha indicato come responsabile il padre, Giuseppe Di Fonzo, in un processo lungo e complesso durato quasi otto anni. Il caso ha fatto emergere questioni delicate legate alla responsabilità genitoriale e ai segnali nascosti dietro a tragedie familiari.
La morte di emanuela e i primi sospetti sulle cause del decesso
Emanuela Di Fonzo è morta la notte tra il 12 e il 13 febbraio 2016 nell’ospedale Giovanni XXIII di Bari. Ufficialmente il decesso è stato attribuito a una crisi cardiorespiratoria senza cause mediche chiare. I medici non hanno identificato fattori clinici precisi per spiegare l’improvvisa crisi della neonata. Questo fatto ha spinto gli investigatori a scavare più a fondo e a riesaminare il quadro delle precedenti emergenze respiratorie che avevano riguardato la piccola nei suoi primi tre mesi di vita.
Da subito è risultato inquietante che tutte le gravi crisi si fossero verificate nel momento in cui Emanuela si trovava da sola con il padre. La ripetizione di episodi simili in circostanze analoghe ha fatto sorgere dubbi su una possibile origine esterna di quei malori. La bambina aveva trascorso circa 67 giorni in ospedale su 90 totali, con diverse emergenze respiratorie fuori dalla norma. Anche due tentativi di soffocamento erano stati segnalati nei mesi precedenti, a novembre 2015 e gennaio 2016.
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Gli investigatori, guidati dalla procura di Bari e dalla pm Simona Filoni, hanno ricostruito con attenzione le dinamiche familiari e mediche, ottenendo elementi che si sono rivelati decisivi per procedere con l’ipotesi di reato.
Il processo a giuseppe di fonzo e le accuse di omicidio
Dopo le indagini, Giuseppe Di Fonzo è stato accusato per la morte della figlia. Il processo è iniziato alla corte d’assise di Bari, dove sono emersi dettagli sconvolgenti sulla condotta del padre. Nel primo grado il reato contestato era omicidio preterintenzionale. Dopo una serie di testimonianze e l’esame dei dati medici, Di Fonzo è stato condannato a 16 anni di carcere.
A settembre 2020, la corte d’assise d’appello ha rivisto la sentenza, riconoscendo la premeditazione nell’omicidio e imponendo la pena dell’ergastolo. In questo passaggio, la difesa ha tentato di far valere la sindrome di Munchausen per procura, ipotizzando che l’uomo potesse essere arrivato a danneggiare la figlia per attirare l’attenzione su di sé. Questa argomentazione però è stata rigettata dai giudici, che hanno sottolineato come il vero motivo fosse il rifiuto della funzione paterna. La nascita di Emanuela aveva rappresentato per Di Fonzo un peso difficile da sopportare.
La sentenza di ergastolo del 2020 ha segnato un punto di svolta nel caso, evidenziando la gravità e l’intenzionalità del gesto.
Il ricorso in cassazione, il nuovo processo e la sentenza definitiva
Nel marzo 2022, la corte di cassazione ha annullato la sentenza d’appello e disposto un nuovo processo. Nel frattempo, Di Fonzo è stato scarcerato dopo quattro anni in custodia cautelare, considerati anche i tre anni già scontati per precedenti condanne per violenza sessuale.
Il secondo processo d’appello si è concluso nell’aprile 2024. La corte ha riconosciuto a Di Fonzo delle attenuanti generiche, riducendo la pena a 29 anni di reclusione. Questa decisione ha rappresentato una via di mezzo rispetto al primo ergastolo confermato in appello.
La corte di cassazione ha confermato definitivamente questo verdetto il 10 marzo 2025. Da quel momento, la sentenza che condanna Giuseppe Di Fonzo a 29 anni per l’omicidio volontario della figlia Emanuela è diventata definitiva.
Il movente e le conclusioni del processo
Il movente su cui si è basata la condanna è chiaro: Di Fonzo avrebbe agito con la volontà lucida di liberarsi di un impegno pesante, ovvero la paternità. La corte ha rilevato come la nascita della bambina fosse vissuta dal padre come un ostacolo alla sua libertà personale, un peso che non voleva affrontare.
Gli accertamenti del processo hanno evidenziato la progettualità e la volontà di compiere l’atto criminale, escludendo interpretazioni di natura psicopatologica avanzate dalla difesa.
Il caso di Emanuela Di Fonzo ha acceso un riflettore su situazioni familiari difficili e sui rischi che possono nascondersi dietro l’apparente normalità. Il lungo iter giudiziario si è concluso con una sentenza che ha chiarito ogni dubbio sulla dinamica della tragedia e sul ruolo del padre.