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Embeth Davidtz debutta alla regia con un film sull’ apartheid , consigliata da Spielberg e kaminski

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L’attrice embeth davidtz, nota per ruoli in pellicole come schindler’s list e matilda 6 mitica, si prepara a dirigere il suo primo film tratto dal memoir “Don’t Let’s Go to the Dogs Tonight”. La sua opera racconta l’apartheid in sudafrica attraverso gli occhi di una bambina di otto anni. Durante la realizzazione del progetto ha ricevuto indicazioni preziose da due figure chiave del cinema: steven spielberg e janusz kaminski.

dall’attore alla regista: l’esperienza di embeth davidtz dietro la macchina da presa

Embeth davidtz ha costruito la sua carriera principalmente davanti alla telecamera, partecipando a produzioni internazionali che hanno lasciato un segno nel cinema. Ora affronta una nuova sfida come regista e sceneggiatrice con un lavoro ispirato al racconto autobiografico di alexandra fuller. Il passaggio all’altra parte della cinepresa è stato segnato dalla volontà di portare sullo schermo una storia legata alle sue radici familiari e culturali.

Il film segue le vicende della piccola bobo durante il periodo dell’apartheid in sudafrica. Davidtz, cresciuta proprio nel paese d’origine del padre, ha trovato nel racconto diversi elementi comuni con la sua infanzia anche se ambientati in contesti leggermente differenti. Questa connessione personale ha reso la lavorazione intensa sotto il profilo emotivo.

Durante lo sviluppo del progetto l’attrice-regista si è affidata molto alle esperienze accumulate negli anni come interprete per guidare scelte narrative e stilistiche. Ha voluto mantenere uno sguardo autentico sulle dinamiche sociali rappresentate evitando idealizzazioni o semplificazioni superficiali.

i consigli fondamentali ricevuti da steven spielberg e janusz kaminski

Nel corso della preparazione del suo primo film dietro la macchina da presa embeth davidtz ha avuto modo di confrontarsi con steven spielberg, celebre regista dietro capolavori come jurassic park ed et l’extraterrestre, oltre che con janusz kaminski noto direttore della fotografia collaboratore storico dello stesso spielberg.

Davidtz racconta un episodio significativo avvenuto quando era ancora giovane attrice: “chiese a spielberg come scegliere tra progetti motivati dal denaro o dalla passione artistica. Spielberg rispose senza esitazione che bisogna sempre seguire ciò che appassiona perché è quella energia a dare senso al lavoro creativo.”

Questo consiglio ha aiutato davidtz a fidarsi maggiormente delle proprie sensazioni artistiche senza trascurare però lo studio approfondito necessario per realizzare un’opera coerente ed efficace. Kaminski le ha inoltre suggerito quanto sia importante ascoltare quella parte interna creativa che sa già cosa vuole vedere sullo schermo evitando decisioni esclusivamente razionali o commerciali.

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Questi insegnamenti sono stati determinanti durante tutte le fasi della produzione consentendo all’attrice diventata regista di mantenere una direzione chiara pur affrontando temi delicati legati alla storia recente sudafricana.

casting particolare e sfide emotive nella realizzazione del film

Per incarnare il ruolo centrale della piccola bobo embeth davidtz ha scelto intenzionalmente una giovane non professionista chiamata lexi venter alla prima esperienza davanti alle telecamere. Questa scelta nasceva dalla necessità di garantire spontaneità e veridicità al personaggio infantile protagonista delle vicende narrate nel film.

La ricerca degli interpreti non si è limitata solo ai ruoli principali ma anche ai personaggi secondari coinvolti nelle dinamiche familiari complesse descritte nella memoria originale scritta da alexandra fuller. L’obiettivo era ricostruire fedelmente quell’ambiente sociale difficile caratterizzato dalle tensioni razziali dell’epoca apartheid sudafricana vissute attraverso lo sguardo ingenuo ma attento della bambina protagonista bobo.

La lavorazione non è stata priva di momenti duri soprattutto perché emerse ricordi personali per l’attrice-regista legati ad episodi visti durante l’infanzia quando assisteva ad atteggiamenti discriminatori compresi quelli messi in atto dagli adulti bianchi intorno a lei. Queste riflessioni hanno contribuito ad alimentare un approccio rispettoso verso materiali sensibili, mantenendo viva però quell’attenzione critica necessaria per raccontare storie vere.

Il nuovo ruolo dietro le quinte richiede quindi competenze diverse rispetto al passato ma anche capacità empatiche rafforzate dal contatto diretto con realtà problematiche. Embeth davidtz mette così insieme esperienza artistica, memoria personale, confronto professionale ottenendo risultati visibili nell’impatto narrativo complessivo finalizzato allo svelamento dei retroscena umani dell’apartheid.

Written by
Matteo Bernardi

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