
"Come gocce d'acqua" di Stefano Chiantini (2025) è un film intimo e minimalista che esplora la complessità delle relazioni familiari attraverso silenzi e immagini sospese, raccontando la difficile riconciliazione tra una giovane nuotatrice e suo padre dopo un evento traumatico. - Unita.tv
Come gocce d’acqua, l’ultima opera di stefano chiantini arrivata nelle sale nel 2025, indaga la complessità delle relazioni familiari con un linguaggio cinematografico fatto di silenzi e immagini sospese. Il regista abruzzese conferma la sua attenzione verso i legami affettivi segnati da rotture e possibili riconciliazioni, mantenendo quella cifra stilistica fatta di realismo e sottrazione già visibile nei suoi precedenti lavori, come Una madre e Naufragi. Il film punta su un racconto asciutto, che lascia spazio alla contemplazione e all’interpretazione, decidendo di parlare poco e mostrare di più, ottenendo così un risultato intimo e lontano dai toni melodrammatici tipici di certi film sulle famiglie.
La trama e i personaggi principali
Come gocce d’acqua racconta la storia di Jenny , giovane promessa del nuoto, e suo padre Alvaro , ex nuotatore segnato da un passato lontano e non del tutto spiegato. Alvaro ha abbandonato la famiglia in passato, causando profonde ferite nel rapporto con Jenny e sua madre Margherita . La narrazione si sviluppa attorno al tentativo di ricucire il legame interrotto tra padre e figlia. Un evento improvviso, un aneurisma che colpisce Alvaro durante una giornata di mare, lo rende fragile e costretto alla sedia a rotelle. Questa crisi spinge Jenny a prendersi cura di lui, scegliendo di trasferirsi a vivere accanto al padre e di assisterlo nella quotidianità.
Un gesto di cura come occasione di riconciliazione
Il film prende così avvio da questo gesto di cura che diventa occasione di riconciliazione e di esplorazione dei lati più nascosti e oscuri dei personaggi. Stefano Chiantini, che ha scritto anche la sceneggiatura, evita dialoghi superflui e predilige una scrittura che mette in primo piano gli sguardi, i silenzi, le pause, offrendo uno spaccato realistico delle fragilità umane. I personaggi non risultano mai caricaturali, ma emergono nella loro complessità grazie a una narrazione fatta più di sottrazioni che di spiegazioni dirette.
Simbolismo e atmosfere nel racconto di stefano chiantini
Come gocce d’acqua non è solo un titolo metaforico, ma un elemento che attraversa tutta la pellicola sul piano visivo e sonoro. L’acqua, ricorrente nella vita di Jenny come nuotatrice, funziona anche da simbolo di trasformazione, purificazione e rinascita. Gli ambienti marittimi, ripresi in modo sobrio con la fotografia naturale di Gianluca Rocco Palma, contribuiscono a creare un’atmosfera che sembra sospesa nel tempo. L’uso frequente della camera a spalla o di piani fissi mantiene sempre una certa distanza rispettosa fra lo spettatore e i protagonisti, come a voler osservare senza invadere.
La narrazione si lascia attraversare da una malinconia sommessa, come se i personaggi stessero vivendo in apnea, in attesa di una nuova possibilità di ricomporre ciò che è stato rotto. Questa scelta stilistica lo distanzia da un cinema più emotivamente urlato e lo avvicina a un racconto di sottrazione, che non cerca la risposta facile nei dialoghi o nelle spiegazioni ma nell’azione che si svolge nella quotidianità e nei gesti piccoli e concreti.
Le interpretazioni degli attori e il valore del cast
Il film si regge su interpretazioni calibrate che raccontano bene le sfaccettature psicologiche dei personaggi. Edoardo Pesce si cala nei panni di Alvaro con una corporeità sofferente ma mai caricata, facendone un uomo segnato dalla malattia e dalle scelte passate. La sua performance evita il patetismo e rende credibile una figura complessa, che non cerca facili redenzioni.
Sara Silvestro, al debutto cinematografico, riesce a trasmettere con efficacia il conflitto interiore di Jenny, giovane ma già provata da un dolore profondo. La sua gestualità contenuta e lo sguardo che oscilla fra rabbia e compassione costruiscono un personaggio autentico e stratificato. Barbara Chichiarelli, nel ruolo di Margherita, completa il quadro con una presenza misurata ma che riesce a evitare stereotipi, conferendo profondità anche a un ruolo secondario.
Un cast che valorizza la narrazione
La forza del racconto si deve anche alla sinergia del cast, capace di dare vita a emozioni trattenute e di far emergere la complessità emotiva del dramma familiare senza forzature.
La regia sobria e il realismo come cifra stilistica
Stefano Chiantini conferma in Come gocce d’acqua la sua capacità di muoversi su territori narrativi che privilegiano la sottrazione e il minimalismo. La regia sceglie la semplicità, puntando su riprese naturalistiche e su tempi dilatati che rispettano i silenzi e i momenti di vuoto, tipici della vita reale. L’andamento lento e circolare del racconto permette allo spettatore di immergersi nella complessità emotiva dei protagonisti senza forzature.
Il realismo presente nel film non è mai freddo, ma si risolve in una maggiore attenzione verso quella parte di esperienza umana spesso rimasta ai margini del racconto cinematografico: la fragilità e la difficoltà di confrontarsi con i propri limiti e quelli degli altri. Le atmosfere cupe e la luce naturale contribuiscono a restituire un senso di autenticità che fa di questa pellicola un documentario dell’anima più che una semplice fiction.
Come gocce d’acqua si inserisce così nel solco di un cinema attento ai dettagli invisibili della vita, senza cercare soluzioni facili ma raccontando quanto il dolore e la distanza possono trasformarsi in occasione per riannodare i fili di relazioni spezzate.