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come è stata realizzata la bambina nella terza stagione di squid game: vera o cgi?

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La terza stagione di squid game ha riportato al centro dell’attenzione un elemento che ha suscitato molte domande tra gli spettatori: la neonata della giocatrice 222, jun-hee. Molti si sono chiesti se il bambino mostrato in scena fosse reale oppure creato con effetti speciali digitali. Il mistero riguarda anche le difficoltà tecniche e logistiche nel girare scene con una neonata in un contesto così pericoloso e movimentato come quello dei giochi mortali della serie coreana, ora disponibile su netflix.

La storia della giocatrice 222 e il ruolo del bebè nella trama

Jun-hee, conosciuta come giocatrice 222, affronta una situazione unica tra tutti i partecipanti a squid game. La sua gravidanza accompagna ogni momento del suo percorso all’interno dei giochi letali. Il padre del bambino si scopre essere uno degli altri concorrenti, aggiungendo tensione e drammaticità alla vicenda. Durante uno dei giochi più rischiosi — nascondino — jun-hee entra in travaglio. Viene protetta da due compagne di gioco che le consentono di portare alla luce la bambina nonostante l’ambiente ostile.

Questa scelta narrativa mette a fuoco temi forti come la vulnerabilità umana nel mezzo della violenza estrema e la speranza rappresentata dalla nuova vita in condizioni estreme. L’importanza attribuita al neonato cresce nel corso degli episodi fino a diventare centrale nelle motivazioni del protagonista gi-hun.

Perché è stato scelto un neonato in cgi per alcune scene

Girare sequenze con bambini molto piccoli richiede norme rigide sul set che limitano tempo ed esposizione a situazioni stressanti o pericolose. In squid game 3 diverse scene mostrano il bebè mentre si muove o esprime emozioni particolari impossibili da ottenere facilmente con un vero neonato senza mettere a rischio salute e sicurezza.

Lee jung-jae, attore principale della serie, ha spiegato durante un’intervista a variety che per queste riprese è stato utilizzato un robot modellato sulle dimensioni reali di un bambino appena nato; questo robot aveva capacità mimiche simili ad espressioni facciali naturali ed era abbastanza pesante da rendere realistiche le interazioni fisiche sul set.

L’uso del robot ha permesso agli attori di recitare senza dover gestire direttamente una creatura fragile ma mantenendo comunque l’effetto visivo credibile necessario alla narrazione intensa dello show coreano.

Il significato simbolico dietro la protezione del neonato nella storia

Gi-hun promette alla madre jun-hee che proteggerà quel piccolo essere umano ad ogni costo durante lo svolgimento dei giochi mortali; questa promessa diventa parte integrante delle sue azioni fino al sacrificio finale compiuto proprio per salvaguardare quella vita innocente.

L’attore lee jung-jae sottolinea che molti concorrenti hanno scelto consapevolmente di partecipare ai giochi ma non vale lo stesso per il bambino ancora non nato quando tutto comincia: questo rende ancora più urgente agli occhi di gi-hun tutelarlo da ogni danno possibile.

Inoltre emerge chiaramente il lato umano e compassionevole del protagonista attraverso questa relazione speciale col bebè; egli vuole aiutare jun-hee ma soprattutto garantire futuro al piccolo nato dentro quel contesto crudele dove nessuno dovrebbe crescere né vivere serenamente.

Apparizione finale della bambina reale dopo i giochi

Nell’ultima parte della stagione viene mostrata nuovamente la neonata affidata alle cure di un detective incaricato dalla polizia locale dopo gli eventi sanguinosi conclusivi dello show televisivo coreano. In queste immagini finali appare evidente l’utilizzo di una vera bambina invece dell’effetto digitale visto precedentemente durante i momenti più intensi nei quali era necessario simulare movimenti specifici o reazioni emotive impossibili da ottenere diversamente senza mettere in difficoltà produttori ed interpreti.

Questo passaggio segna anche una differenza netta tra ciò che serve ai fini narrativi – cioè creare tensione credibile tramite strumenti tecnologici – rispetto alle fasi finalizzate all’immagine naturale, autentica, necessaria proprio perché simboleggia continuità oltre l’orrore vissuto dai personaggi principali.

Squid game conferma così attenzione maniacale verso dettagli scenografici pur mantenendo rigorosi criteri etici legati all’impiego diretto sui set cinematografici.

Written by
Andrea Ricci

Andrea Ricci non cerca l’ultima notizia: cerca il senso. Blogger e osservatore instancabile, attraversa cronaca, politica, spettacolo, attualità, cultura e salute con uno stile essenziale, quasi ruvido. I suoi testi non addolciscono la realtà, la mettono a fuoco. Scrive per chi vuole capire senza filtri, per chi preferisce le domande alle risposte facili.

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