Breathe – Fino All’Ultimo Respiro: un futuro senza aria e la lotta per restare umani

Lotta per l’aria in un futuro senza respiro. - Unita.tv

Serena Fontana

1 Settembre 2025

Breathe – Fino all’ultimo respiro è un fanta-thriller d’azione uscito nel 2024. La storia si svolge in un futuro distopico dove l’ossigeno sta praticamente scomparendo e la Terra è diventata una landa arida e desolata. Diretto da Stefon Bristol, il film racconta una lotta estrema per la sopravvivenza e mette in scena rapporti umani messi a dura prova. Si trova su Amazon Prime Video e ha un cast di tutto rispetto, ma ha diviso la critica, soprattutto per una narrazione che fatica a trovare un equilibrio tra azione e profondità emotiva.

Brooklyn 2039: aria quasi finita e un paesaggio senza vita

La storia si svolge a Brooklyn, New York, nel 2039. Un posto trasformato in un deserto spoglio, dove la natura sembra sparita. L’aria è quasi priva di ossigeno e uscire senza tuta e maschera è un suicidio. Non è solo un espediente fantascientifico: il film richiama temi ambientali attuali, come i cambiamenti climatici e il collasso degli ecosistemi.

Darius, il protagonista, è un ingegnere e survivalista che ha costruito un bunker con un generatore d’ossigeno per la sua famiglia: moglie e figlia. La loro vita è isolata, protetta ma fragile. Anche le rare uscite all’aperto sono un rischio enorme e richiedono protezioni speciali. Questo mondo in declino racconta quanto la sopravvivenza dipenda da tecnologie precarie e da una risorsa essenziale che sta finendo.

Il film offre una visione della Terra senza speranze di ripresa naturale, dove l’umanità deve inventarsi nuovi modi per resistere. La scelta di Brooklyn rende tutto più vicino e concreto per chi guarda.

Tra assenze, sospetti e lotta per sopravvivere

La trama si concentra sull’assenza di Darius, scomparso durante un’uscita per onorare il padre morto. Maya, la moglie, e Zora, la figlia, restano sole nel bunker. Devono fare i conti con una realtà difficile, cercando di proteggersi e di gestire risorse sempre più scarse.

La situazione si complica quando alla loro porta bussano due sconosciuti, Tess e Lucas, che chiedono aiuto per la loro comunità in difficoltà. Il sospetto sui loro veri intenti cresce in fretta, creando una tensione che attraversa tutto il film. Tess è interpretata da Milla Jovovich, Lucas da Sam Worthington; Worthington riesce a dare più spessore al “cattivo”, mentre Jovovich fatica a rendere l’ambiguità del suo personaggio.

La sopravvivenza diventa una lotta di fiducia e diffidenza, che mette a dura prova tutti. L’isolamento, la scarsità d’aria, le difficoltà materiali segnano profondamente i comportamenti. Il film mostra bene come, in situazioni estreme, i legami umani si logorino e la diffidenza prenda il sopravvento.

Al centro della storia resta il legame tra Maya e Zora, il cuore emotivo del film. Il rapporto madre-figlia passa attraverso tensioni e incomprensioni, amplificate dalla crisi. Entrambe sono donne nere, un contrasto netto con gli “estranei” bianchi, e il regista sembra voler riflettere sul ruolo forte delle protagoniste afroamericane in una storia di sopravvivenza.

Tra ambizioni e limiti: quando il racconto si inceppa

Il film vuole mescolare un thriller sci-fi con una riflessione sulle emozioni e sulle relazioni umane in condizioni estreme. L’idea c’è, ma la narrazione non sempre regge. I cambiamenti d’umore dei personaggi e le loro scelte spesso non convincono, rallentando il coinvolgimento.

La messa in scena paga un budget limitato, soprattutto negli esterni. Le macerie e la terra bruciata sono rappresentate da paesaggi con un’illuminazione arancione-rossastra che fatica a creare vera atmosfera o senso di minaccia. Gli interni del bunker funzionano invece meglio, accentuando la claustrofobia e la fame d’aria.

Le scene d’azione ci sono e tengono alta la tensione in alcuni momenti, ma il film perde forza quando deve raccontare emozioni o costruire legami profondi. Il finale, ottimista, stona un po’ con la durezza del racconto precedente, lasciando una sensazione di qualcosa di incompiuto.

Gli attori, tra cui Common, Jennifer Hudson e Quvenzhané Wallis, tengono alto l’interesse e danno spessore ai personaggi, nonostante qualche vuoto nella sceneggiatura. Nel complesso, però, il film non riesce a esprimere fino in fondo la forza della sua storia.

Un film che parla di ambiente e società, oggi

Oltre alla trama, Breathe – Fino all’ultimo respiro prova a mostrare come le crisi ambientali cambino il modo di vivere e di relazionarsi. In questo scenario post-apocalittico, la scarsità d’ossigeno coinvolge anche emozioni e scelte, portando alla luce paure vere legate al degrado della natura.

La scomparsa della flora e la lotta per una risorsa essenziale come l’aria sono lo sfondo di una storia sulle fragilità umane. La crisi amplifica sospetti, egoismi e incapacità di collaborare, ma lascia accesa una scintilla di umanità, soprattutto nei legami familiari. Il film si inserisce così in un discorso più ampio su cambiamenti climatici, tecnologia e resilienza.

Il fatto che le protagoniste principali siano due donne nere forti è un segnale importante in termini di rappresentazione. La contrapposizione con gli antagonisti bianchi introduce un tema che punta a mettere in luce divisioni sociali che si acuiscono in situazioni di crisi.

Nonostante i limiti nel ritmo e nella realizzazione, il film offre spunti interessanti per riflettere sul rapporto tra uomo, natura e società. Un futuro che non sembra poi così lontano e che già chiede risposte concrete oggi.

Ultimo aggiornamento il 1 Settembre 2025 da Serena Fontana