Brady Corbet si presenta in una saletta del cinema Troisi con occhiali da sole specchiati e una camicia grigia dal collo alla coreana. Alle sue spalle un poster di Titane, mentre sul tavolo un bicchiere con cubetti di ghiaccio testimonia uno spritz appena finito. L’incontro avviene poco prima della proiezione di The Brutalist, film che il regista ha presentato insieme all’architetto Daniel Libeskind. Solo tre giorni prima Corbet aveva accompagnato la proiezione di Angst, un horror ispirato a fatti reali legati a uno dei serial killer più feroci dell’Austria, Werner Kniesek. Tra nuovi progetti e riflessioni sulla sua carriera, l’artista racconta cosa lo muove oggi nel mondo del cinema.
The brutalist: un racconto tra architettura e potere
The Brutalist narra la storia dell’architetto László Tóth interpretato da Adrien Brody che ha ottenuto 10 nomination agli Oscar vincendone 3. Il film esplora la vita complessa del protagonista attraverso uno stile che richiama i melodrammi degli anni Cinquanta. La macchina da presa utilizzata è stata progettata proprio in quel periodo per sottolineare l’atmosfera retrò della vicenda.
Una scena chiave mostra una sequenza violenta ambientata in una cava di marmo: luogo mitico scelto per esprimere il rapporto asimmetrico tra Tóth e il suo mecenate Harrison Lee Van Buren. Corbet spiega come abbia voluto bilanciare momenti diretti con altri più poetici, giocando sulla quantità d’informazioni offerte allo spettatore per creare tensione narrativa.
Stile e riferimenti cinematografici
La scelta stilistica richiama autori come Douglas Sirk o Powell & Pressburger ed evita le sfumature tipiche del neorealismo contemporaneo puntando invece su emozioni forti e simbolismi evidenti.
Nuovi orizzonti: dall’horror western all’immigrazione negli anni Settanta
Dopo The Brutalist Brady Corbet tornerà dietro la macchina da presa con un progetto molto diverso: un horror western ambientato negli anni Settanta che affronta temi legati all’immigrazione cinese verso la California fino alla Silicon Valley. Il film sarà girato nel formato 8-perf 65mm richiamando atmosfere vintage ed evocative.
Tra le fonti d’ispirazione figura anche Non aprite quella porta, classico dell’horror cult che ha segnato generazioni di cineasti. Questa nuova pellicola sarà vietata ai minori e durerà circa quattro ore; caratteristiche queste destinate a dividere pubblico e critica ma ritenute necessarie dal regista per mantenere intatta l’identità artistica del lavoro.
Parallelamente Brady Corbet collabora con Mona Fastvold alla sceneggiatura di Ann Lee, musical storico diretto dalla compagna che vede Amanda Seyfried nei panni della fondatrice della setta religiosa degli Shakers.
Cinema divisivo: perché brady corbet vuole far arrabbiare gli spettatori
Corbet sostiene apertamente che il suo prossimo film “farà incazzare tutti”, definendo questa reazione non solo inevitabile ma positiva nel panorama cinematografico attuale dove prevalgono opere troppo innocue o costruite per piacere a tutti indistintamente.
Secondo lui cercare consenso universale è sbagliato perché limita la libertà creativa; preferisce realizzare storie coinvolgenti innanzitutto per se stesso visto che deve guardarle più spesso degli altri dopo averle completate.
Provocare per innovare
Fa esempi come Birth di Jonathan Glazer o i lavori controversi ma fondamentali di Kubrick, Visconti o Tarkovsky ricordando quanto sia importante provocare dibattiti accesi fra gli spettatori piuttosto che uniformarsi al gusto comune senza rischiare nulla artisticamente parlando.
Riguardo alle pressioni dopo The Brutalist dice ironicamente no ai grandi budget hollywoodiani sopra i cento milioni perché questi comportano compromessi produttivi non compatibili col suo modo indipendente di fare cinema.
Riflessioni sul sogno americano fra politica migratoria e realtà sociale
Nel corso dell’intervista emerge anche una visione critica sull’attuale situazione degli Stati Uniti soprattutto rispetto al tema immigrazione illustrata dalla scena iniziale de The Brutalist dove appare capovolta la Statua della Libertà simbolo ormai incrinato secondo Corbet.
Il regista afferma infatti che quel sogno americano idealizzato non è mai realmente esistito; oggi molti cittadini stanno scoprendo quanto fosse fragile quell’immagine patinata inculcata fin dall’infanzia nelle scuole americane tramite giuramenti quotidiani alla bandiera ed esaltazioni patriottiche reiterate senza confronto critico.
Viaggiando spesso in Europa occidentale dove vive parte della famiglia nota differenze nette nella sicurezza sociale soprattutto sanitaria rispetto agli Stati Uniti, malgrado appartenga ad una fascia medio-alta continua a subire insicurezze lavorative economiche difficili da superare anche grazie al proprio successo professionale.
Vita privata tra europa e stati uniti: esperienze familiari fuori dagli schemi comuni
Brady parla anche delle esperienze personali legate alla famiglia spiegando come sua figlia trascorra molto tempo in Norvegia dai nonni materni pur essendo americana. Questo contatto frequente col continente europeo apre nuove prospettive culturali diverse dalle aspettative tradizionali sugli Usa.
Nonostante guadagni bene vivendo principalmente negli Stati Uniti ammette però l’impossibilità pratica ad accumulare risparmi significativi o garanzie finanziarie stabili. Racconta inoltre quant’è difficile mantenersi economicamente lavorando costantemente su sceneggiature, spot pubblicitari o altre produzioni minori fra un lungometraggio e l’altro.
Contraddizioni del mito americano
Questa condizione fa emergere contraddizioni fortissime fra ciò che rappresenta il mito statunitense basato sull’autonomia individuale rispetto alle difficoltà concrete vissute ogni giorno dalla classe media alta dello spettacolo.