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Andare in pensione può far male: ecco perché il cervello entra in crisi

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i rischi per la salute mentale durante la pensione-unita.tv
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Il passaggio alla pensione è spesso vissuto come liberazione, ma può innescare vulnerabilità emotive anche gravi.

Lasciare il lavoro dopo una vita passata in azienda, in ufficio o in fabbrica non è solo una formalità amministrativa. Per molte persone è un evento psichicamente delicato, che può rappresentare tanto una liberazione quanto l’inizio di una crisi profonda. Lo sa bene chi, una volta andato in pensione, si è ritrovato spaesato, senza più orari, senza colleghi, senza un ruolo definito nella società. E lo confermano anche gli esperti: «Il pensionamento è considerato un momento di grande stress – spiega Giancarlo Cerveri, psichiatra e consigliere della Società Italiana di Psichiatria – che può aumentare in modo significativo il rischio di patologie depressive nelle persone predisposte».

L’adattamento a questa nuova fase della vita dipende da variabili complesse: non solo l’età o le condizioni economiche, ma anche il tipo di lavoro svolto, il valore attribuito all’identità professionale, la struttura familiare e persino fattori culturali. A cambiare è il cervello stesso, che deve riprogrammare abitudini consolidate e ridefinire un senso.

Quando il lavoro è tutta la vita: chi rischia di più

Non tutti vivono il pensionamento allo stesso modo. Ci sono persone che lo attendono con ansia e altre che, dopo poche settimane, si sentono inutili o isolate. A influenzare questa differenza è innanzitutto la natura del lavoro svolto. Chi ha esercitato una professione logorante o stressante può accogliere la fine dell’attività come una vera liberazione. Al contrario, chi si è realizzato nel lavoro e ha costruito la propria identità intorno a esso, può percepire la pensione come una frattura dolorosa, una perdita di riconoscimento, status e motivazione.

depressione
depressione negli anziani-unita.tv

Un ruolo importante lo gioca anche il trattamento di fine rapporto: una pensione solida può facilitare l’adattamento, mentre una perdita netta del potere economico può aumentare frustrazione e insicurezza. In alcuni contesti culturali, come Giappone o Taiwan, il lavoro è visto come espressione massima della realizzazione personale. In questi Paesi – ricorda Cerveri – il pensionamento è spesso vissuto come un trauma, e la letteratura scientifica documenta una maggiore incidenza di disturbi depressivi.

In Italia, storicamente, le donne hanno vissuto la transizione con maggiore resilienza grazie al ruolo centrale in ambito familiare, ma oggi le differenze di genere stanno diminuendo. Gli uomini, soprattutto quelli con carriere prestigiose e investimenti forti nell’identità professionale, restano più vulnerabili. Alcuni sviluppano forme di depressione resistenti anche ai farmaci, proprio per l’intensità del vissuto di vuoto e disorientamento.

Un altro elemento è l’età: chi va in pensione presto ha spesso più energia per reinventarsi. Al contrario, chi resta al lavoro fino all’ultimo, magari spinto dalla passione o dalla necessità, può trovarsi improvvisamente a dover reinventare tutto da capo, in un momento in cui le forze iniziano a scarseggiare. Anche le dinamiche di coppia possono entrare in crisi se solo uno dei due partner va in pensione, con ritmi diversi difficili da armonizzare.

Prepararsi al cambiamento: consigli e strategie utili

Se la pensione è un cambiamento annunciato, perché non ci si prepara? Secondo Cerveri, il sistema italiano non aiuta la transizione: si passa da “tutto a niente” in un giorno. In altri Paesi europei esistono percorsi graduali, con riduzione dell’orario lavorativo e avvio di progetti paralleli, che facilitano un adattamento progressivo. Da noi, invece, spesso il giorno del pensionamento arriva senza che nessuno abbia fornito strumenti per affrontarlo.

Eppure, esistono strategie efficaci per contenere il rischio depressivo e trasformare il pensionamento in un nuovo inizio. Una delle prime è l’attività fisica, che contribuisce al benessere neuropsichico, migliora l’umore e riduce ansia e insonnia. Poi c’è la cura del sonno, spesso alterato in questa fase, e la costruzione di nuove relazioni, dentro e fuori dal contesto familiare.

Fondamentale è anche il coinvolgimento attivo in progetti che abbiano un significato personale. Non si tratta di “riempire il tempo”, ma di ritrovare un senso. Il volontariato, ad esempio, può diventare uno spazio di identità e appartenenza, a patto che sia scelto con convinzione. Serve un’attività che nutra davvero, che dia la percezione di essere utili, non solo impegnati.

Attenzione anche ai segnali d’allarme: isolamento, perdita di interesse, insonnia cronica, uso crescente di alcol o altri comportamenti a rischio devono essere presi sul serio. Chi ha una storia di depressione o soffre di patologie croniche è più esposto e dovrebbe essere seguito da uno specialista.

Prepararsi alla pensione, in fondo, significa imparare a gestire un tempo nuovo, che può essere fertile, ricco e intenso, se riempito con relazioni significative, abitudini sane e un nuovo progetto di vita.

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