I misteri dei ricordi d’infanzia: perché non riusciamo a ricordare i nostri primi anni di vita

Uno studio della Yale University del 2025 rivela che i ricordi d’infanzia esistono ma non sono accessibili agli adulti, suggerendo un legame tra sviluppo dell’ippocampo e memoria episodica.
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I misteri dei ricordi d'infanzia: perché non riusciamo a ricordare i nostri primi anni di vita - unita.tv

La questione dei ricordi d’infanzia ha affascinato scienziati e psicologi per decenni. Un recente studio condotto da un team di ricercatori della Yale University ha cercato di svelare il mistero di come mai, guardando le foto dei nostri primi anni, non riusciamo a richiamare alla mente i momenti immortalati. I risultati suggeriscono che i ricordi esistono, ma che gli adulti non riescono più a trovare il modo per accedervi. Questo articolo esplora le scoperte di questo studio e le implicazioni sui ricordi infantili.

La difficoltà di ricordare l’infanzia

Molti di noi si sono trovati a guardare foto d’infanzia, osservando momenti di gioia e spensieratezza, ma senza riuscire a evocare i sentimenti e le esperienze associate a quegli scatti. I ricercatori dell’Università di Yale si sono posti la domanda: perché non riusciamo a ricordare con chiarezza i momenti della nostra infanzia? Tradizionalmente, si pensava che la difficoltà fosse legata allo sviluppo dell’ippocampo, la parte del cervello responsabile della memorizzazione. Questo organo, essendo ancora in fase di sviluppo durante i primi anni di vita, non sarebbe in grado di codificare i ricordi in modo efficace.

Tuttavia, lo studio pubblicato sulla rivista Science ha messo in discussione questa convinzione. Gli scienziati hanno esaminato l’amnesia infantile, che si manifesta attraverso ricordi episodici che emergono in modo confuso e senza un chiaro nesso logico. Per indagare, hanno coinvolto un gruppo di 26 neonati, di età compresa tra i 4 mesi e i 2 anni, sottoponendoli a stimoli visivi. I ricercatori hanno mostrato ai bambini immagini di volti e oggetti nuovi, confrontandole con immagini già viste. L’osservazione del tempo che i neonati trascorrevano a fissare le immagini ha fornito indizi sul loro riconoscimento.

La ricerca sull’ippocampo e la memoria episodica

Per approfondire la questione, i ricercatori hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale per monitorare l’attività dell’ippocampo nei neonati mentre osservavano le immagini. I risultati hanno rivelato che i piccoli che mostravano una maggiore attivazione dell’ippocampo tendevano a fissare più a lungo le immagini già viste. Questo fenomeno si è manifestato in modo più evidente nei bambini di età superiore a un anno.

Secondo Nick Turk-Browne, professore di psicologia presso Yale, la memoria episodica inizia a svilupparsi intorno all’anno di vita, mentre prima prevale l’apprendimento statistico, fondamentale per comprendere il mondo circostante. Questo meccanismo è cruciale per l’acquisizione del linguaggio e per la comprensione dei concetti, rendendo la memoria episodica meno rilevante in questa fase dello sviluppo.

Dove vanno a finire i ricordi d’infanzia?

Una delle domande più intriganti emerse dallo studio riguarda il destino dei ricordi d’infanzia. I ricercatori hanno osservato che, sebbene la memoria episodica si sviluppi, i ricordi formati nei primi anni di vita non vengono archiviati in modo duraturo. In altre parole, questi ricordi rimangono nel cervello, ma una volta diventati adulti, perdiamo l’accesso a essi.

Turk-Browne ha suggerito che i ricordi della prima infanzia non vengono completamente dimenticati, ma piuttosto che perdiamo la chiave per accedervi. Il team di ricerca sta ora testando neonati e bambini più grandi per scoprire se, guardando video di quando erano piccoli, riescano a evocare quei momenti dal loro punto di vista. Le prime prove indicano che i ricordi possono riemergere fino all’età prescolare, per poi svanire. La ricerca continua, con la convinzione che questi ricordi esistano anche nell’età adulta, ma che non sappiamo più come richiamarli.

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