La malattia di Parkinson è spesso associata all’età avanzata, ma le statistiche rivelano una realtà diversa. Secondo un’analisi condotta nel 2024 da Iqvia Italia, specialista nell’analisi di dati sanitari e farmaceutici, oltre 300mila persone in Italia convivono con questa malattia. Sebbene la maggior parte dei pazienti abbia più di 70 anni, si registra un incremento significativo di nuovi casi tra le persone sotto i 60 anni, con esordi che possono manifestarsi già a partire dai 40 anni. Negli ultimi dodici mesi, 16mila nuovi pazienti hanno iniziato un percorso terapeutico, evidenziando un cambiamento non solo clinico, ma anche sociale, poiché il Parkinson sta influenzando la vita di persone in età lavorativa, con ripercussioni sul benessere psicologico e sulla quotidianità di pazienti e famiglie.
Evoluzione delle terapie per il Parkinson
Sebbene le terapie per il Parkinson possano sembrare stabili, un’analisi più approfondita rivela una trasformazione nelle scelte terapeutiche. I farmaci a base di L-Dopa rimangono il trattamento principale, utilizzati dal 40% dei pazienti. Tuttavia, si osserva un aumento nell’uso degli inibitori della monoamino ossidasi , che sono passati dal 24% al 29% negli ultimi anni. Al contrario, l’uso degli agonisti della dopamina ha subito una significativa diminuzione, scendendo dal 25% al 18%. Questa diversificazione nelle terapie risponde alle esigenze specifiche dei pazienti e alla progressione della malattia. Accanto alla L-Dopa, gli inibitori della Mao, come rasagilina, selegilina e safinamide, stanno guadagnando importanza, mentre gli agonisti della dopamina, come apomorfina, pramipexolo e ropinirolo, vengono prescritti con maggiore selettività. Inoltre, gli inibitori della catecol-O-metiltransferasi rappresentano circa il 4% dei trattamenti, mentre gli anticolinergici vengono utilizzati nell’8% dei casi, soprattutto nei pazienti più giovani con sintomi di tremore predominanti.
Disparità regionali nell’accesso alle terapie
L’accesso alle terapie per il Parkinson non è uniforme in tutto il territorio italiano. Le regioni con la maggiore concentrazione di pazienti in trattamento includono Liguria, Abruzzo e Marche, mentre Lombardia, Emilia Romagna e Trentino mostrano numeri inferiori. Questa disparità è in parte attribuibile alla distribuzione della popolazione anziana, ma anche alle politiche sanitarie locali e alla disponibilità di farmaci e centri specialistici. È fondamentale considerare questi fattori per garantire un accesso equo alle cure e migliorare la qualità della vita dei pazienti.
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La necessità di un approccio multidisciplinare
La malattia di Parkinson non si limita a richiedere trattamenti farmacologici, ma implica un cambiamento di paradigma nella cura dei pazienti. L’aumento delle diagnosi tra le fasce di età più giovani evidenzia l’urgenza di sviluppare un modello di assistenza che offra supporto concreto a pazienti e famiglie. È essenziale promuovere percorsi di cura multidisciplinari che coinvolgano neurologi, fisioterapisti, psicologi e assistenti sociali. Questo approccio integrato può migliorare la gestione della malattia e affrontare le sfide quotidiane che i pazienti devono affrontare, come le difficoltà motorie e gli impatti emotivi e lavorativi.
Affrontare le sfide quotidiane della malattia
La malattia di Parkinson comporta una serie di difficoltà che vanno oltre la semplice terapia. I pazienti devono affrontare sfide legate al movimento, all’emotività e alla necessità di adattare le proprie vite a una condizione in continua evoluzione. La vera sfida non consiste solo nel trovare il farmaco giusto, ma nel costruire un sistema di supporto che accompagni il paziente lungo tutto il percorso della malattia. È fondamentale che le famiglie e i caregiver ricevano le risorse necessarie per affrontare le complessità quotidiane legate a questa condizione, garantendo così un miglioramento della qualità della vita per tutti coloro che sono coinvolti.