Riforma del meccanismo europeo di stabilità: l’italia resta ferma tra pressioni e novità dal 2019 al 2024
Il meccanismo europeo di stabilità ha subito riforme significative dal 2019, ma l’Italia continua a opporsi alla ratifica, complicando le dinamiche con l’Unione europea e aumentando la pressione diplomatica.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità è stato riformato dal 2019 per rendere il sostegno finanziario più flessibile e includere un ruolo di garanzia per il fondo salva-banche, ma l’Italia continua a opporsi alla sua ratifica, bloccandone l’adozione completa nell’Unione Europea. - Unita.tv
Il meccanismo europeo di stabilità ha subito un’importante trasformazione a partire dal 2019, quando l’Unione europea ha deciso di riformare il vecchio fondo salva-Stati. L’obiettivo era lasciarsi alle spalle le rigide condizioni imposte durante le crisi passate, soprattutto quelle legate alla Grecia, e rendere il sostegno finanziario più flessibile e meno penalizzante. Ma, nonostante la riforma e le nuove funzioni attribuite al Mes, l’Italia mantiene una posizione di opposizione netta verso la sua ratifica definitiva, bloccando così il pieno utilizzo di questo strumento all’interno dell’Unione. Le dinamiche tra Roma e Bruxelles si sono complicate negli ultimi anni, con la Germania e altri Paesi che hanno già dato via libera al trattato e una crescente pressione verso un’unione bancaria più solida.
Come si è evoluto il meccanismo europeo di stabilità dal 2019
Nato per sostituire l’originario fondo salva-Stati, il Mes ha mutato profondamente la sua natura dopo il 2019. In particolare, l’Unione europea ha cercato di far sparire le parti più controverse del precedente sistema. Sul banco degli imputati c’era il vecchio memorandum, che imponeva misure economiche molto dure come tagli di bilancio e riforme strutturali pesanti, percepite come lacrime e sangue dai Paesi coinvolti. L’idea era proprio quella di liberarsi da questo alone austeritario e di far diventare il Mes uno strumento più premuroso, capace di intervenire persino prima che uno Stato trovasse serie difficoltà finanziarie.
Per realizzare questo obiettivo, agli stati membri è stata data la possibilità di chiedere una linea di credito precauzionale. Si tratta di una sorta di polizza da attivare nel caso di shock economici improvvisi o tensioni sui mercati, così da evitare che la situazione degeneri in crisi finanziaria aperta. In questo modo, il Mes avrebbe potuto aiutare a mettere un freno alle crisi prima che diventassero incontrollabili.
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La riforma ha poi rimosso definitivamente il memorandum, sostituendolo con una lettera d’intenti. In questo documento gli stati si impegnano a rispettare comunque le regole del Patto di stabilità, che impongono limiti precisi a deficit e debito pubblico. Quando questi limiti vengono ampiamente superati, i prestiti ottenuti tramite linee di credito a condizionalità rafforzata arrivano solo se lo Stato mette in atto significative correzioni nei conti pubblici. In sostanza, la riforma mira a conciliare il sostegno finanziario con il monitoraggio rigoroso delle finanze pubbliche.
Il ruolo di backstop per il fondo salva-banche: nuova funzione del mes
Un’altra novità significativa inserita nel meccanismo riguarda il sostegno alla cosiddetta Unione bancaria. Il Mes si propone come una rete di sicurezza per il fondo unico di risoluzione europeo . In pratica, se il fondo salva-banche dovesse esaurire le sue risorse nel gestire crisi di istituti finanziari, il Meccanismo europeo di stabilità entrerebbe in gioco con una linea di credito da 70 miliardi di euro.
Questo backstop rappresenta una delle componenti ancora mancanti per completare il sistema di sicurezza finanziaria dell’Unione. In assenza di questa garanzia, la stabilità bancaria europea rischierebbe di essere meno solida, perché si affiderebbe solo a risorse limitate. Il Mes, quindi, estende il proprio campo d’azione oltre il solo soccorso agli Stati, occupandosi anche di salvaguardare la tenuta degli istituti bancari in difficoltà.
L’opposizione italiana alla ratifica non cambia con il tempo
L’Italia ha legato il proprio destino al Mes sin dalla sua creazione, avendo ratificato la prima versione durante il governo Monti. Da allora, però, gli esecutivi che si sono succeduti sul territorio nazionale hanno dimostrato una ferma opposizione alla riforma voluta dall’Unione. Quest’ostilità è rimasta invariata, sia con le coalizioni giallo-verdi sia sotto governi con presidente del consiglio diversi.
Uno dei punti che ha sempre alimentato la resistenza italiana è la modifica prevista per le clausole di azione collettiva, che consentono di rinegoziare con procedure più rapide i termini del debito sovrano. Questa riforma potrebbe esporre gli Stati a dinamiche penalizzanti, vista la possibilità di modifiche forzate sulle condizioni del debito, senza un ampio consenso parlamentare.
Nel corso degli anni, nonostante la presenza di schieramenti con idee più morbide sulla questione , l’Italia non ha mai approvato ufficialmente la riforma. Con l’arrivo del governo guidato da Mario Draghi, la situazione non è migliorata: la maggioranza in Parlamento non ha mai raggiunto il numero necessario per la ratifica, un problema legato soprattutto alla contrarietà di movimenti come il Movimento 5 Stelle e la Lega.
La pressione dell’ue su roma non smette, tra esercizi della politica e difficoltà
La situazione si è fatta più difficile per l’Italia a partire dalla fine del 2022. La Germania ha completato la propria ratifica, diventando un esempio per altri Paesi e lasciando Roma come unico ostacolo all’entrata definitiva del nuovo Mes. La decisione di Berlino ha aumentato la pressione diplomatica nei confronti di Roma, che si trova così isolata su questo fronte.
Nel dicembre del 2023, la Camera dei Deputati italiana ha bocciato la riforma. Il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, ha ammesso apertamente che in aula i numeri non erano sufficienti a far passare la ratifica. L’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha affrontato il tema, ma senza successo.
Il dossier continua a rappresentare un nodo delicato per l’Italia, in un momento in cui l’Unione europea spinge per rafforzare l’unione bancaria, data l’instabilità economica a livello globale. Bruxelles cerca di rilanciare il meccanismo come strumento essenziale per evitare crisi future, senza però trovare ancora un consenso unanime tra gli stati membri. Restare esclusi da questo processo significa, per Roma, mantenere un ruolo complicato nell’assetto europeo finanziario ancora incerto.