
Il referendum del 2025 in Italia riguarda importanti temi del diritto del lavoro, tra cui licenziamenti, contratti a termine e tutele nelle piccole imprese, con implicazioni significative per lavoratori e aziende. - Unita.tv
Il referendum del 2025 porta al centro dell’attenzione temi chiave del diritto del lavoro. Tra i punti più discussi ci sono la validità delle schede bianche, il quorum necessario e i dettagli dei tre quesiti su contratti a termine, licenziamenti e tutele nelle piccole aziende. Questi temi risultano decisivi per molti lavoratori e imprese in Italia. Qui raccontiamo come funziona il meccanismo referendario, cosa si vota e quali sono le novità proposte.
Come funziona il quorum e il ruolo delle schede bianche
Per rendere valido un referendum è imprescindibile raggiungere il quorum: serve che vada a votare almeno il 50% più uno degli elettori abilitati. Senza questo requisito il voto non porta a cambiamenti di legge. Ciò serve a garantire che la decisione rifletta la volontà di una maggioranza significativa dei cittadini.
Su questo punto ha fatto discutere la posizione della presidente del consiglio Giorgia Meloni. Ha annunciato che, al voto, rifiuterà di ritirare tutte le schede nel seggio, lasciandole bianche. La legge stabilisce che un elettore che decide di non ritirare tutte le schede non può essere considerato votante. Di conseguenza, quest’azione non entra nel computo definitivo dei votanti e non contribuisce al raggiungimento del quorum.
Strategia politica o protesta?
Lo stratagemma punta a ridurre la partecipazione valida al voto, rendendo più difficile superare la soglia necessaria per la validità del referendum. Chi vota bianco, infatti, partecipa al voto e viene conteggiato; l’elettore che non ritira le schede viene considerato come assente dal voto. Questo elemento fa della scelta di Meloni un gesto particolare, al confine tra protesta e strategia politica.
Il contratto a tutele crescenti: cosa prevede il primo quesito
Il primo quesito riguarda i contratti a tutele crescenti, una misura introdotta nel 2015 dal governo guidato da Matteo Renzi nel decreto legislativo 23/2015 del Jobs Act. È contenuto nella scheda verde e offre una nuova disciplina per i licenziamenti nelle aziende con più di 15 dipendenti. In caso di licenziamento ritenuto illegittimo, l’attuale norma prevede che il lavoratore non riceva più il reintegro sul posto di lavoro, ma solo un risarcimento economico commisurato all’anzianità lavorativa.
L’indennizzo varia da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità, calcolate in relazione agli anni di servizio. Il referendum punta ad abrogare questa parte del Jobs Act e a tornare all’applicazione prima prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In pratica, chiederebbe di reintrodurre il diritto al reintegro nel posto di lavoro in casi di licenziamento ingiusto, così come modificato dalla legge Fornero del 2012.
Le conseguenze del voto sul primo quesito
Se vincesse il “sì”, l’abolizione del Dlgs 23/2015 provocherebbe il ripristino di queste tutele più strette. Se invece dovesse prevalere il “no”, resterà in vigore l’attuale disciplina, influenzata dalle recenti sentenze della Corte costituzionale e dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che hanno introdotto alcune modifiche ai risarcimenti.
Modifiche per le piccole imprese: il secondo quesito
La scheda arancione apre un fronte diverso che riguarda le piccole imprese, cioè quelle con meno di 16 dipendenti. Qui, la normativa vigente fissa un tetto massimo di sei mensilità per l’indennizzo nei casi di licenziamenti giudicati illegittimi. Il referendum avanzato dalla Cgil propone di eliminare questo limite.
L’obiettivo è lasciare al giudice la decisione finale sull’ammontare del risarcimento, senza imporre un tetto massimo. Il giudice potrebbe valutare fattori come la condizione economica dell’azienda, l’età e i carichi familiari del lavoratore. Ciò permetterebbe a molte persone di ottenere compensazioni maggiori in caso di licenziamenti non giustificati.
Cosa succede se vince il sì o il no?
Se la risposta sarà “sì”, la cancellazione del tetto favorirà potenzialmente maggiori risarcimenti nei piccoli contesti lavorativi. Il “no” manterrà invece l’attuale limite delle sei mensilità. Le discussioni intorno a questa proposta toccano temi delicati, come il bilanciamento tra diritti di chi lavora e sostenibilità economica per le piccole aziende.
Il terzo quesito: limitazioni ai contratti a tempo determinato
Infine, la scheda grigia riguarda i contratti di lavoro a tempo determinato. Oggi, le aziende possono attivare contratti a termine fino a 12 mesi senza motivazioni specifiche. La proposta referendaria mira a limitare questa libertà, imponendo che anche i contratti inferiori ai dodici mesi abbiano motivazioni concrete per l’utilizzo.
In caso di esito favorevole al “sì”, le imprese dovranno sempre indicare una causale, per esempio un aumento temporaneo del lavoro o sostituzioni precise. Queste limitazioni hanno lo scopo di evitare abusi e di garantire maggior stabilità ai lavoratori.
Opinioni sul terzo quesito
Se vince il “no”, resterà in vigore l’attuale normativa che permette un uso più flessibile di questi contratti senza obbligo di causale entro il limite annuale. La proposta è stata accolta con attenzione perché impatta direttamente sulle strategie d’assunzione delle imprese e sui diritti di chi lavora con contratti temporanei.
Il referendum del 2025 propone dunque scelte chiare su aspetti importanti del lavoro, con conseguenze dirette su milioni di persone e aziende in tutta Italia. Le decisioni saranno prese alla urne, con regole precise sia per la validità del voto che per gli effetti che potranno modificare le normative vigenti.