Il lavoro part-time non sempre è una scelta consapevole. In Italia, circa 3 milioni di persone accettano turni ridotti non per volontà, ma per necessità o mancanza di alternative. Questa condizione penalizza soprattutto le donne, tanto da spingere il Partito democratico a proporre una nuova legge per regolarizzare e migliorare le condizioni di questo tipo di offerta lavorativa.
Il fenomeno del part-time involontario e la sua diffusione in Italia
Il part-time involontario riguarda quasi 3 milioni di lavoratori nel nostro paese. Si tratta di chi accetta un contratto a orario ridotto senza desiderarlo davvero, spesso a causa della scarsità di posti full-time o per bisogno di conciliare lavoro e impegni personali. Secondo i dati più recenti, oltre metà di chi lavora part-time, il 56,2%, si trova in questa condizione. Il fenomeno ha una forte connotazione di genere; la maggior parte delle persone coinvolte sono donne che, per motivi familiari o per mancanza di opportunità, finiscono in contratti limitati e meno stabili.
Il part-time involontario non solo riduce le ore lavorate ma limita anche i diritti e le prospettive di carriera. Molti lavoratori e lavoratrici subiscono questa condizione senza possibilità di scelta, con contratti che spesso non offrono tutele adeguate. Questi contratti rappresentano una forma di lavoro precario che si traduce in minori redditi, tutele sociali ridotte e difficoltà a pianificare il proprio futuro.
Gli obiettivi della proposta di legge Pd per tutelare i lavoratori part-time
La proposta presentata alla Camera dal Partito democratico punta a introdurre cambiamenti nella tutela dei part-time. Il primo obiettivo è contrastare la precarietà legata a questo tipo di contratto, soprattutto nelle sue forme involontarie. Lo schema prevede la possibilità di “trasformazione del contratto part-time in un contratto standard, quando il primo venga applicato in modo abusivo o forzato.”
Inoltre, la legge mira a combattere il lavoro in nero e quello “grigio“, cioè quei casi in cui viene mascherato il reale impegno lavorativo o evitati gli obblighi di legge. Un altro punto riguarda la tutela del diritto alla disconnessione, cioè la possibilità per il lavoratore di non essere obbligato a rispondere a richieste o messaggi fuori dall’orario di lavoro. Viene anche prevista la riduzione dell’orario lavorativo a parità di salario, un aspetto importante per migliorare la qualità della vita di chi ha famiglie o altri impegni.
La tutela delle donne al centro del dibattito sul part-time
La coordinatrice dell’iniziativa, Susanna Camusso, ha sottolineato come il part-time sia principalmente una questione femminile. Il part-time involontario rischia di diventare uno strumento di sfruttamento per le donne, riducendo la loro presenza effettiva e il peso nel mercato del lavoro. La proposta legge vuole evitare che questo modello diventi una “trappola” per chi deve conciliare maternità, studio e lavoro.
Si punta a far sì che il part-time torni ad essere uno strumento di conciliazione come previsto all’inizio della sua introduzione in Italia. La proposta si collega anche a misure sul congedo di maternità e paternità obbligatori e uguali per entrambi i genitori, con l’obiettivo di favorire una distribuzione più equilibrata degli impegni familiari. Inoltre, la legge definisce il part-time come una scelta programmata, transitoria e reversibile: i lavoratori devono poter tornare a un contratto full-time senza difficoltà.
Dati Cnel-Istat Confermano: più donne lavorano part-time, specialmente madri giovani
Il rapporto Cnel-Istat conferma il quadro descritto dalla proposta Pd. Tra le donne occupate in Italia, quasi un terzo lavora a ore ridotte. La percentuale aumenta notevolmente tra quelle con figli in età giovane-adulta: il 41% delle madri tra i 25 e i 34 anni lavora part-time. Il ricorso a questo tipo di contratto aiuta a bilanciare gli oneri familiari e gli impegni lavorativi. Questo spiega perché siano molte più le donne a scegliere – o subire – l’orario ridotto rispetto agli uomini.
Nel totale degli occupati, il 31,5% delle donne ha un lavoro part-time, rispetto all’8,1% degli uomini. Tra gli uomini tra i 25 e i 54 anni, solo il 6,6% lavora con questo tipo di orario ridotto; se ci sono figli, la percentuale scende al 4,6%. Invece tra le madri della stessa fascia d’età, la quota di part-time supera il 36%. Questi dati mettono in evidenza la difficoltà di conciliazione tra vita familiare e lavoro soprattutto per le donne.
Impatto della proposta sulle giovani lavoratrici e il mercato del lavoro femminile
Il part-time involontario rappresenta un punto critico per molte giovani lavoratrici che entrano nel mercato del lavoro frenate dalla mancanza di opportunità full-time. Queste lavoratrici spesso accettano contratti ridotti per mantenere un’occupazione, ma le condizioni di lavoro restano fragili, con poche garanzie di stabilità e crescita professionale.
La legge vorrebbe invertire questa tendenza incoraggiando la trasformazione verso contratti più stabili e tutelati. In particolare, si cerca di eliminare l’uso improprio del part-time come forma di contenimento dei costi da parte delle aziende. Garantirebbe più diritti e sicurezza anche alle giovani madri che devono bilanciare lavoro e famiglia. La proposta, infatti, punta a favorire percorsi lavorativi programmati e reversibili, dare strumenti per gestire periodi di maternità o formazione, senza perdere tutele o occasioni di carriera.
Infine, la legge mira a rendere meno conveniente l’impiego di lavoratori in condizioni di sospensione o con orari troppo frammentati, sostenendo forme di lavoro più coerenti con i bisogni delle lavoratrici e con il reale bisogno delle aziende. La risposta normativa a questo fenomeno potrà influenzare anche l’assetto del mercato del lavoro femminile nei prossimi anni.
Ultimo aggiornamento il 16 Luglio 2025 da Andrea Ricci