Meloni contro la legge sul Green Deal: “Non sosterremo follie che danneggiano l’Italia”

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Al Consiglio europeo la premier annuncia la linea dura: niente adesione a regole ideologiche sul clima, difesa dell’industria nazionale e richiesta di neutralità tecnologica. Salvini: “Il Green Deal è una follia da azzerare”.

A pochi giorni dal Consiglio europeo, Giorgia Meloni rompe gli indugi e prende posizione sul Green Deal: l’Italia, dice, non sosterrà la revisione della Legge Clima europea “così come formulata ora”. Il premier ha parlato alla Camera dei Deputati, spiegando che il governo non accetterà “politiche folli che affossano la nostra economia” e ribadendo che la transizione ecologica non può trasformarsi in un danno per le imprese italiane.

Meloni non rinnega gli impegni ambientali dell’Italia — “sosteniamo un percorso ambizioso di riduzione delle emissioni” — ma chiede un cambio radicale di approccio: meno ideologia, più pragmatismo. “Il modo migliore per non raggiungere gli obiettivi climatici è continuare a rincorrere un approccio irragionevole, che impone obiettivi insostenibili e irraggiungibili”, ha dichiarato in Aula, accusando Bruxelles di aver “indebolito le nazioni europee e minato la credibilità dell’Unione”.

Tre fronti di battaglia: industria, energia e risorse

La strategia italiana si muove su tre direttrici. Il primo fronte è quello industriale. Meloni ha spiegato che ogni futura revisione della Legge sul Clima dovrà “contenere strumenti realistici” per raggiungere i target ambientali senza “fare a pezzi la nostra economia”, avvantaggiando Paesi extra-UE “che fanno salti di gioia di fronte alle follie verdi che ci siamo autoimposti”.

Il secondo fronte è quello della neutralità tecnologica: il governo chiede che venga applicata a tutta la legislazione europea sul clima, dal settore automobilistico all’industria pesante. Significa riconoscere pari dignità a tutte le tecnologie in grado di ridurre le emissioni, dai biocarburanti sostenibili ai carburanti sintetici, fino alle innovazioni sull’idrogeno e sulla cattura della CO₂. “Dobbiamo restare aperti a tutte le soluzioni — ha sottolineato la premier — e non limitarci a una sola via come l’elettrico, che rischia di distruggere la nostra filiera produttiva.”

Questa impostazione punta a salvaguardare il motore endotermico e con esso gran parte del sistema automotive italiano, che occupa centinaia di migliaia di lavoratori. Meloni ha ricordato come l’Italia, insieme ad altri Paesi europei, si opporrà al bando dei motori tradizionali dopo il 2035, chiedendo una proroga e un piano di transizione più flessibile.

Il terzo fronte è quello delle risorse economiche. “Nessuna transizione è possibile senza fondi adeguati”, ha detto il premier, sottolineando che il Green Deal non può essere scaricato sulle imprese e sulle famiglie. Per questo l’Italia chiederà alla Commissione europea un “intervento coraggioso” per correggere “le scelte azzardate del passato”, a cominciare da un sistema di incentivi che premi chi investe davvero in tecnologie pulite.

Meloni ha avvertito che, in assenza di un cambio di rotta, “l’Italia non è pronta a sostenere nuove iniziative autodistruttive e controproducenti” dettate “dall’agenda di bizzarre maggioranze parlamentari europee”.

L’offensiva diplomatica e il fronte interno

Oltre al dossier climatico, Meloni ha rilanciato la necessità di una semplificazione normativa in Europa. “Serve un quadro regolatorio più chiaro e snello”, ha spiegato, rivelando di aver firmato con il cancelliere tedesco Mertz e altri quindici leader una lettera a Ursula von der Leyen per accelerare la revisione delle regole europee. Il documento propone tre linee d’azione: rivedere l’intera normativa UE, cancellare la regolamentazione superflua e ridurre le nuove proposte legislative all’essenziale.

Un messaggio che, in Italia, ha trovato consenso anche tra alcune opposizioni e nei settori produttivi, esasperati da anni di burocrazia europea che rallenta gli investimenti. “Bisogna sostenere la competitività del continente”, ha ribadito Meloni, “non soffocarla con migliaia di regolamenti contraddittori”.

Altro tema caldo affrontato in Parlamento è stato quello del voto a maggioranza in Europa, proposto da diversi Paesi per superare l’attuale sistema di unanimità. Meloni si è detta contraria: “Non intendo formulare alcuna proposta che vada in quella direzione. La mia priorità è difendere gli interessi nazionali italiani”. Secondo il premier, un simile meccanismo “potrebbe essere utile per l’Ucraina, ma varrebbe anche per altri temi in cui la maggioranza potrebbe essere molto distante dai nostri interessi”.

Sulla stessa linea si è espresso il vicepremier Matteo Salvini, che ha attaccato duramente la presidente della Commissione: “Leggere ciò che scrive von der Leyen suscita rabbia. In questi anni noi lo dicevamo da soli: il Green Deal è una follia che sta uccidendo le imprese. Adesso se ne accorgono, ma è tardi”. Parole che riflettono una convergenza politica nel governo: nessuna opposizione al principio ecologico, ma ferma resistenza a un modello considerato “autolesionista” per l’economia europea.

Il Consiglio europeo di Bruxelles si preannuncia così come un banco di prova decisivo per il governo italiano, deciso a far valere le proprie ragioni su uno dei temi più divisivi dell’agenda europea. L’Italia arriva con una posizione chiara: sostenere la transizione sì, ma solo se compatibile con la crescita, la libertà industriale e l’interesse nazionale.

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Francesco Giuliani è un blogger esperto di intelligenza artificiale e di attualità politica, amante della natura e degli animali. È il creatore di Francesca Giubelli, un progetto che unisce tecnologia e comunicazione.