La legge sul fine vita compie un passo importante al Senato, con l’approvazione del testo base da parte delle commissioni Giustizia e Sanità. Dopo oltre un anno di dibattiti, proposte diverse e tensioni politiche, la maggioranza ha presentato una versione definitiva che ora sarà discussa in Aula a metà luglio. Il provvedimento affronta temi delicati come il diritto alla vita, le modalità per accedere al trattamento di fine vita e le cure palliative.
Le tappe del percorso legislativo e la nascita del testo unico
Da più di dodici mesi si confrontano cinque proposte di legge diverse sul tema del fine vita, presentate sia dalla maggioranza che dall’opposizione. Nessuna però era riuscita a trovare un accordo condiviso. A dicembre scorso è stato istituito un comitato ristretto incaricato di elaborare una proposta comune ma i lavori sono andati a rilento tra divergenze politiche e tecniche.
La bozza finale e l’adozione
Per sbloccare la situazione i relatori della maggioranza – Pierantonio Zanettin e Ignazio Zullo – hanno redatto una bozza finale composta da quattro articoli. Questa mattina le commissioni Giustizia e Sanità hanno adottato quel testo come base per l’esame parlamentare previsto in Aula il 17 luglio 2025.
Il nuovo testo rappresenta quindi una sintesi delle varie posizioni emerse finora ed è frutto soprattutto dell’iniziativa della coalizione governativa per evitare ulteriori rinvii o blocchi.
Diritto alla vita senza distinzioni ma senza riferimenti al concepimento
Il primo articolo afferma chiaramente che il diritto alla vita costituisce “il presupposto fondamentale” per tutti gli altri diritti previsti dall’ordinamento italiano. Viene ribadita la tutela della persona indipendentemente dall’età, dalle condizioni fisiche o sociali.
Rispetto alle versioni precedenti sparisce però l’espressione “dal concepimento alla morte naturale“, frase che aveva scatenato fortissime critiche soprattutto dalle opposizioni più conservatrici perché interpretata come un attacco ai diritti sull’aborto legalizzato in Italia dal 1978.
Questa modifica evita così tensioni inutili su questioni già regolate dalla legge 194/78 mantenendo invece fermo il principio generale della protezione della vita umana fino all’ultimo momento possibile secondo criteri condivisi nel Parlamento.
Esclusione del servizio sanitario nazionale dal trattamento di fine vita
Il nuovo impianto normativo stabilisce che i trattamenti finalizzati al fine vita non potranno essere erogati tramite strutture pubbliche né utilizzare risorse sanitarie finanziate dal Servizio sanitario nazionale . Medici dipendenti pubblicamente o farmaci forniti dallo Stato non saranno coinvolti direttamente nei processi previsti dalla legge.
Viene inoltre confermato che chi assiste o accompagna una persona nel percorso verso la morte volontaria non commette reati penali né può essere perseguito penalmente. Questo punto chiarisce responsabilità legali evitando rischiosi vuoti normativi attorno all’aiuto nei casi più delicati legati alle scelte personali sulla propria esistenza.
Valutazione dei requisiti affidata al comitato nazionale con tempi ridotti
La verifica dei requisiti necessari per accedere ai trattamenti sarà affidata a un Comitato nazionale di valutazione nominato dal governo tramite decreti presidenziali su indicazione del presidente del Consiglio dei ministri. Questo organismo sostituisce quello etico previsto nelle bozze precedenti ed è chiamato a decidere entro novanta giorni complessivi rispetto ai centoventi inizialmente previsti dagli stessi relatori pochi giorni fa.
Anche i tempi minimi prima poter ripresentare domanda in caso di diniego si riducono notevolmente: da quattro anni passano a sei mesi soltanto consentendo così maggiore flessibilità nella gestione dei casi individualmente complessi ma urgenti allo stesso tempo.
L’aspetto politico resta comunque controverso perché l’opposizione progressista denuncia questa nomina governativa come troppo influenzabile da logiche politiche mentre la maggioranza sostiene sia garanzia necessaria per uniformità nelle decisione su tutto il territorio italiano evitando disparità regionalistiche ingovernabili sotto questo profilo sensibile.
Cure palliative garantite ma non obbligatorie secondo quanto previsto dall’articolo 3
L’articolo terzo prevede misure precise sulle cure palliative destinate ai malati terminale o affetti da patologie gravi cronico-degenerative. Queste cure dovranno essere rese disponibili ovunque sul territorio nazionale anche se non diventeranno obbligatorie; cioè nessuno sarà costretto ad accettarle ma dovranno esserci strutture adeguate facilmente accessibili.
Lo scopo è evitare differenze significative tra regioni, spesso causa negli ultimi anni di disuguaglianze nell’assistenza sanitaria specializzata. Garantire omogeneità nell’offerta significa assicurare dignità alle persone malate fino agli ultimi momenti, tutelandone qualità della vita, sollievo dai dolori fisici, psicologici ed emotivi.
Le disposizioni cercano quindi bilanciamento tra libertà individuale, rispetto delle volontà personali riguardo alla propria esistenza, supporto medico qualificato, assicurando allo stesso tempo assistenza efficace contro sofferenze evitabili.
Ultimo aggiornamento il 2 Luglio 2025 da Rosanna Ricci