Governo impugna la legge sulla limitazione dei mandati in provincia di trento in attesa di decisioni della consulta
Il governo impugna la legge della provincia autonoma di Trento sui limiti ai mandati locali, suscitando divisioni nel centrodestra e attese per il pronunciamento della Corte costituzionale.

Il governo ha impugnato la legge della provincia autonoma di Trento che limita i mandati degli amministratori locali, in attesa del giudizio della Corte costituzionale, suscitando divisioni soprattutto all’interno del centrodestra e della Lega. - Unita.tv
Il governo ha deciso di impugnare la legge approvata dalla provincia autonoma di Trento che limita i mandati degli amministratori locali. La scelta è arrivata durante il Consiglio dei ministri, aperto da un dibattito acceso e con la Lega schierata contro, confermando una linea già emersa a gennaio con una legge simile della regione Campania. La delibera punta ad attendere le indicazioni della Corte costituzionale prima di affrontare una possibile soluzione nazionale sulla materia.
Il contesto della decisione del consiglio dei ministri
La decisione del governo di impugnare la legge trentina arriva in un momento delicato per gli equilibri politici nel centrodestra, e non solo. Le province autonome di Trento e Bolzano hanno un assetto di governo particolare, con autonomia legislativa garantita da statute speciali. La norma contestata limita i mandati per presidente e consiglieri, una questione che interessa anche altre regioni a statuto speciale come Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Sicilia.
Durante la riunione a Palazzo Chigi si è confrontato un fronte diviso. Da una parte la presidenza del Consiglio ha sottolineato la necessità di evitare decisioni disorganiche, che ogni regione o provincia applichi regole diverse, rischiando di creare confusione e disparità. Sarebbe invece indispensabile attendere il giudizio della Corte costituzionale per fare chiarezza e, a quel punto, aprire un confronto più ampio a livello nazionale. Questo indirizzo è stato illustrato in modo sintetico dalla premier Giorgia Meloni.
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L’opinione diffusa tra i ministri vicini a Meloni è che una norma uniforme possa evitare tensioni e contrasti nella governance territoriale e negli assetti elettorali futuri.
La linea contraria del ministro calderoli
Nel consiglio è emersa la divergenza più netta rappresentata da Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e esponente di spicco della Lega. Calderoli ha messo in evidenza che, dal punto di vista tecnico, non sussisterebbero motivi validi per impugnare la legge della provincia di Trento. La sua valutazione, riferiscono fonti presenti, ha qualificato la mossa governativa come essenzialmente politica.
La linea contraria della lega e le sue ragioni politiche
La Lega si oppone all’impugnazione perché vede nella norma una tutela per i propri amministratori locali. In particolare, si è fatto riferimento al presidente d Trento Maurizio Fugatti e al governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, entrambi esponenti della Lega e con mandati che la legge andrebbe a limitare. Anche Luca Zaia, presidente del Veneto e leader leghista, non potrà ricandidarsi a causa di una sentenza della Corte costituzionale che ha già invalidato una legge con limiti simili in Campania.
Parte del dibattito interno al partito si concentra sul dubbio se l’impugnazione risponda a un intento di chiarezza legislativa o sia un’azione volta indirettamente a impedire un nuovo mandato a esponenti leghisti, sebbene Fugatti debba affrontare il voto solo fra tre anni.
Il sostegno di forze alleate e le motivazioni del governo
A fianco della decisione hanno preso posizione favorevole alcuni ministri del centrodestra che non appartengono alla Lega. Ci sono stati interventi da parte di Antonio Tajani , Elisabetta Casellati, titolare delle Riforme istituzionali, e Francesco Lollobrigida, capo delegazione di Fratelli d’Italia e ministro dell’Agricoltura.
Fra le motivazioni che hanno spinte il governo a impugnare la legge trentina c’è stata anche la preoccupazione per i tempi stretti. L’impugnazione è arrivata nell’ultimo giorno utile, per evitare che la norma restasse in vigore senza alcun ostacolo. La mancanza di un intervento del governo avrebbe lasciato la strada aperta a singoli cittadini o enti a ricorrere autonomamente alla Corte costituzionale, prolungando così l’incertezza.
Sul tavolo c’è anche la possibilità che alla guida del centrodestra si stia preparando un confronto più ampio per elaborare una norma nazionale dedicata a questo tema, anche se sembrano necessari confronti con le forze di opposizione soprattutto perché la materia riguarda aspetti delicati come quelli elettorali.
Le prospettive future e le implicazioni politiche
Questo episodio sottolinea come la questione dei limiti al numero di mandati resti un nodo irrisolto nel sistema politico italiano, specie nelle regioni a statuto speciale. Le provincie autonome e alcuni governatori mantengono posizioni contrapposte alle indicazioni generali del governo centrale e alla giurisprudenza costituzionale.
La verifica della Corte costituzionale sarà decisiva per chiarire la legittimità di queste norme. Solo partendo da quel pronunciamento sarà possibile procedere a una disciplina equilibrata, chiara e uniforme su tutto il territorio nazionale.
Nel frattempo, le discussioni interne al centrodestra mettono in luce anche tensioni fra alleati, capaci di influenzare strategie e scelte politiche nei prossimi anni. I prossimi passaggi istituzionali definiranno con chiarezza gli spazi e i limiti della permanenza in carica di molti amministratori locali.