L’annuncio dei dazi del 30% sugli import europei, in vigore dal primo agosto, ha riacceso il dibattito sulle conseguenze della globalizzazione e sulle tensioni sociali nate negli Stati Uniti. Il fenomeno va letto alla luce degli sviluppi economici degli ultimi decenni, che hanno modificato profondamente il tessuto produttivo americano e le dinamiche politiche interne.
Il contesto storico della globalizzazione e l’impatto sulla manifattura americana
Negli anni Novanta si è assistito a uno spostamento massiccio delle attività produttive dagli Stati Uniti verso l’Asia. Questo trasferimento ha portato alla perdita di molti posti di lavoro nel settore manifatturiero americano, con ripercussioni pesanti su intere comunità industriali. Nel 1994 fu pubblicato un testo intitolato «Il fantasma della povertà», che descriveva proprio questo fenomeno: i capitali si muovevano verso paesi con costi del lavoro più bassi per creare nuove opportunità produttive.
L’effetto diretto è stato un aumento delle disuguaglianze all’interno degli Stati Uniti. La ricchezza si è concentrata in settori ad alta tecnologia come la Silicon Valley, mentre molte aree tradizionalmente industrializzate hanno visto crescere povertà e disoccupazione. Questa trasformazione ha segnato l’inizio di una crisi sociale ed economica profonda che ancora oggi influenza le scelte politiche.
La nascita delle “due nazioni” americane: chi ha perso e chi ha guadagnato
Dopo decenni di cambiamenti strutturali, gli Stati Uniti si sono divisi in due gruppi distinti: quelli che hanno beneficiato dell’evoluzione economica e quelli rimasti esclusi dal progresso. Questa divisione sociale ed economica viene spesso definita come quella tra “due nazioni”. Da una parte ci sono i vincitori legati ai settori tecnologici o finanziari; dall’altra gli ex lavoratori dell’industria tradizionale rimasti senza alternative occupazionali solide.
Questa frattura spiega anche i risultati elettorali recenti: molte persone appartenenti al gruppo svantaggiato hanno scelto di sostenere partiti o candidati percepiti come portavoce delle loro difficoltà reali. Tra questi figurano esponenti del Partito Repubblicano e figure come Donald Trump, emerse proprio cavalcando questo malcontento diffuso nelle aree colpite dalla crisi industriale.
Le conseguenze politiche ed economiche dei nuovi dazi sugli scambi internazionali
La decisione statunitense di imporre dazi pari al 30% sui prodotti europei rappresenta una mossa importante nella guerra commerciale globale attuale. Questi provvedimenti mirano a proteggere alcune industrie interne ma rischiano anche di alimentare tensioni diplomatiche con partner storici come l’Unione europea.
I dazi possono aumentare i costi per consumatori ed imprese sia negli Usa sia in Europa, riducendo lo scambio commerciale complessivo tra le due sponde dell’Atlantico. Inoltre potrebbero provocare ritorsioni commerciali o rallentamenti nei negoziati su accordo futuri riguardanti tariffe doganali o standard regolatori comuni.
Questa situazione riflette bene quanto accennava Giulio Tremontì citando Shakespeare sul frontone della Biblioteca nazionale americana: ciò che è passato prepara sempre ciò che verrà. Le tensionì attuali nascono dalle trasformazioni avvenute nel passato recente; ora restano aperte molte incognite sul futuro equilibrio tra protezionismo nazionale ed economia globale integrata.
Le prossime settimane saranno decisive per capire se questa fase segnerà un punto d’inversione nella politica commerciale americana oppure se sarà solo un passaggio temporaneo dentro dinamiche più ampie legate alle sfide geopolitiche contemporanee fra grandi potenze mondiali quali Usa, Cina ed Europa stessa