Divisioni interne e ballottaggi spaccano il centrosinistra tra matera, taranto e i referendum di giugno
Il centrosinistra affronta sfide crescenti nei ballottaggi e referendum di giugno 2025, con tensioni tra il Pd e il Movimento 5 Stelle su alleanze e posizioni politiche interne.

Il centrosinistra affronta crescenti tensioni interne e difficoltà nelle alleanze con il M5S in vista dei ballottaggi e referendum di giugno 2025, mentre emergono profonde divisioni su temi politici e internazionali che mettono a rischio la coesione della coalizione. - Unita.tv
La sfida politica del centrosinistra si fa più complessa nel weekend di ballottaggi e referendum in programma a giugno 2025. Dopo le recenti vittorie al primo turno di Genova e Ravenna, emergono segnali chiari di fragilità nelle alleanze soprattutto a Matera e Taranto, dove il Movimento 5 Stelle non appoggia apertamente i candidati dem. Nel frattempo, la consultazione referendaria mette a nudo le divisioni interne alle forze progressiste su temi delicati come lavoro e cittadinanza. Questo scenario riflette una fase di forte tensione e manovre strategiche in vista della tornata elettorale decisiva.
Tensioni a matera e taranto: il m5s dice no o rimanda l’endorsement ai candidati dem
A Matera il candidato del Pd Roberto Cifarelli, che ha ottenuto oltre il 40% dei consensi nel primo turno, non può contare sull’appoggio ufficiale di Domenico Bennardi, il rappresentante del M5s rimasto intorno all’8%. Bennardi ha chiarito la linea del suo movimento, scegliendo di non schierarsi né a favore né contro il dem al ballottaggio, lasciando libertà di voto agli elettori. Questo atteggiamento segnala una volontà di distanziarsi, forse per mantenere un’identità autonoma o per questioni interne che ancora non si sono risolte sul piano locale.
Situazione simile a taranto
A Taranto la situazione è simile ma un po’ più articolata. Il candidato dem Piero Bitetti, anch’esso primo al primo turno con una percentuale vicina al 40%, resta in attesa dell’appoggio della giornalista del M5s Annagrazia Angolano, che si è fermata al 10%. Angolano ha ribadito di non essere disposta a formare un apparentamento ufficiale e preferisce mantenere una posizione di opposizione. Tuttavia ha lasciato aperta la possibilità di consigliare il voto per Bitetti, a patto che questi accetti una serie di condizioni programmatiche ritenute fondamentali per la città. Questa apertura condizionale mette in evidenza una trattativa non ancora conclusa e un clima di incertezza per il ballottaggio che si svolgerà tra pochi giorni.
Questi due casi testimoniano la difficoltà del Pd nel compattare un fronte unico con il Movimento 5 Stelle, che preferisce mantenere margini di autonomia e non inserirsi in alleanze stabili anche laddove il confronto elettorale sarebbe favorevole. Il dato mette pressione al centrosinistra, che dovrà fare i conti con un potenziale indebolimento proprio nei comuni rilevanti.
Le divisioni sul referendum di giugno e le posizioni contrastanti all’interno del centrosinistra
Il primo weekend di giugno 2025 vedrà anche la consultazione su cinque referendum rimasti in ballo dopo che la Corte costituzionale ha escluso il quesito sul modello di autonomia regionale promosso dalla Lega. I temi coinvolgono la cittadinanza, con la riduzione da 10 a 5 anni del tempo di residenza necessario per fare richiesta; altri quesiti si concentrano sulla sicurezza sul lavoro e sulle norme che modificano parti significative del jobs act varato nel decennio precedente.
Posizioni differenti tra le forze politiche
Le posizioni tra le varie forze dell’opposizione sono differenziate. Giuseppe Conte, leader del M5s, ha lasciato libertà di coscienza sulla cittadinanza e ha espresso sostegno per gli altri quattro quesiti. Carlo Calenda, capo di Azione, si oppone invece a gran parte del pacchetto referendario, sottolineando evidenti spaccature. Il Pd guidato da Elly Schlein sostiene invece una linea coerente a favore del sì su tutti e cinque i quesiti, ma anche dentro il Pd emergono tensioni.
Una parte della minoranza dem, rappresentata da esponenti della componente riformista, appoggia soltanto due quesiti e respinge le modifiche al jobs act contenute negli altri tre. Alcuni consiglieri si limitano addirittura a votare sì sul tema della cittadinanza, ma auspicano il mantenimento delle altre schede in votazione. Paolo Gentiloni non ha ancora definito se recarsi alle urne. Matteo Renzi, artefice del jobs act, ha espresso un orientamento molto dettagliato e articolato: sì alla cittadinanza, no per le norme sui licenziamenti e le tutele crescenti, aprendo a una libera scelta sugli altri quesiti legati agli incidenti sul lavoro e ai contratti a tempo determinato.
La frammentazione delle posizioni su questi referendum riflette la complessità delle discussioni su lavoro e diritti civili, temi che restano divisivi anche tra i vecchi alleati politici.
Preoccupazione per l’astensionismo: l’obiettivo del pd è raggiungere almeno 12 milioni di votanti
Uno degli aspetti più delicati per le forze progressiste riguarda la partecipazione al voto. Il rischio di un’affluenza bassa rappresenta un problema concreto, soprattutto dopo che il quorum fissato al 50% più uno degli aventi diritto appare ormai irraggiungibile con oltre 25 milioni di persone chiamate a votare.
Elly Schlein punta a mobilitare circa 12 milioni di elettori, cioè un numero vicino a quello che ha scelto il centrodestra alle ultime elezioni politiche. Per il Pd e il centrosinistra un’affluenza sotto i 10 milioni segnerebbe un colpo politico significativo, indebolendo la capacità di pressione sull’esecutivo e sui temi nel dibattito nazionale. Il timore è che un risultato del genere non solo indebolisca il fronte progressista ma contribuisca anche ad alimentare sfiducia nella politica e nell’azione dei partiti.
La mobilitazione del voto vede quindi significativi sforzi, soprattutto sui territori, ma il quadro resta incerto. La partecipazione al referendum e il risultato dei ballottaggi saranno un banco di prova importante per definire gli equilibri politici nei prossimi mesi fino alle elezioni successive.
La tensione politica si riflette anche negli schieramenti sulle iniziative per gaza
Oltre ai temi interni, il centrosinistra mostra spaccature evidenti anche sulla posizione riguardo la crisi internazionale, con al centro la situazione di Gaza. Dopo aver superato le divergenze sull’Ucraina – dove M5s e Avs si sono opposti all’invio di armi – la coalizione ha cercato di ricompattarsi attorno a iniziative per esprimere solidarietà verso la popolazione di Gaza.
La giornata del 7 giugno vedrà però due eventi distinti. A Roma Pd, M5s e Avs hanno organizzato una manifestazione pubblica, mentre ad un teatro di Milano Azione e Italia Viva hanno allestito un incontro contrapposto. La divisione nasce da divergenze sul contenuto della piattaforma, in particolare sulla condanna esplicita di Hamas, richiesta dai centristi ma non accolta da tutta la sinistra.
Da un lato la paura di accuse di antisemitismo ha spinto Renzi e Calenda a dissociarsi dall’evento romano e a organizzare quello milanese. Dall’altro, l’intero gruppo riformista del Pd ha deciso di partecipare a entrambe le iniziative, assieme ai radicali di Più Europa. Questi episodi segnano una nuova fase di frattura tra le varie anime progressiste, incuneate tra questioni interne e scelte su problematiche internazionali sempre più complesse.
Il quadro del centrosinistra in questo momento riflette molteplici contrasti e sfide che si intrecciano tra livello locale, nazionale e internazionale, mentre si avvicinano decisioni fondamentali per il ruolo che queste forze intendono svolgere nel 2025.