Negli ultimi anni, molte aziende hanno cavalcato l’onda dell’innovazione online, introducendo novità tecnologiche pensate per rivoluzionare l’esperienza dei consumatori. Tuttavia, non tutte queste proposte si sono rivelate vincenti: alcuni progetti digitali, nonostante l’ambizione iniziale, hanno incontrato una forte resistenza da parte del pubblico o non hanno generato i ritorni economici attesi. Alcuni flop sono diventati veri e propri casi studio, mostrando come l’innovazione, se mal gestita o disconnessa dai bisogni reali dell’utenza, possa diventare un boomerang.
Gli esempi più eclatanti di flop
Un esempio emblematico è la decisione di Levi’s di adottare modelle generate interamente dall’intelligenza artificiale per promuovere i suoi prodotti. L’intento era quello di aumentare la rappresentanza e la sostenibilità, ma l’effetto ottenuto è stato esattamente l’opposto: l’uso di avatar digitali è stato percepito come un tentativo goffo di sostituire il lavoro umano, generando polemiche e danni di immagine. In un mercato dove il consumatore cerca autenticità, la scelta di abbandonare volti reali si è rivelata controproducente.
Simile è stato il destino della campagna natalizia di Coca‑Cola realizzata con l’intelligenza artificiale. Le immagini, per quanto tecnicamente sofisticate, sono apparse fredde e prive dell’empatia che storicamente ha caratterizzato le pubblicità del brand. I consumatori non si sono sentiti coinvolti e la campagna ha fatto il giro dei social per i motivi sbagliati: una lezione su come la tecnologia non possa (ancora) sostituire la sensibilità umana.
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Anche il mondo dei videogiochi ha vissuto momenti di tensione tra innovazione e accettazione. L’introduzione forzata di modalità “always online” per giochi anche single-player ha generato malcontento, culminando nel movimento “Stop Killing Games”, nato in risposta al ritiro di The Crew da parte di Ubisoft. Il fatto che il gioco non potesse più essere avviato nemmeno offline ha fatto percepire agli utenti una vera e propria violazione del diritto alla conservazione digitale, portando alla nascita di petizioni e proteste istituzionali.

In questo panorama di cambiamenti affrettati e ricezione deludente, anche l’ambito dell’intrattenimento interattivo ha vissuto esperimenti mal riusciti. Alcune piattaforme, come quelle di casino online, hanno cercato di implementare ambienti di gioco iperrealistici con avatar AI o stanze live animate da personaggi generati artificialmente. Tuttavia, l’eccessiva digitalizzazione ha spesso ridotto l’immedesimazione, raffreddando il rapporto con l’utente e portando a un calo dell’engagement. È un esempio di come la tecnologia, se non ben integrata nel contesto e nei desideri del pubblico, rischi di allontanare anche in settori già digitalizzati per natura.
Un altro ambito in cui l’AI ha fallito nel conquistare il cuore del pubblico è la comunicazione emozionale. Google, ad esempio, ha lanciato Gemini con una campagna in cui un padre suggeriva al figlio di usare l’AI per scrivere una lettera agli atleti olimpici. Il messaggio, pensato per valorizzare la tecnologia, è stato invece percepito come un invito a delegare anche i sentimenti, snaturando l’autenticità del gesto. Le critiche non si sono fatte attendere, evidenziando quanto sia sottile il confine tra innovazione e alienazione.
Anche l’uso di influencer virtuali si è rivelato meno efficace del previsto. Procter & Gamble ha investito in personaggi digitali per promuovere la sua linea beauty, ma ha incontrato la diffidenza del pubblico. I consumatori, specie quelli più giovani, hanno manifestato un chiaro bisogno di relazioni autentiche, sfidando l’idea che un avatar possa trasmettere carisma, personalità e credibilità.
Infine, molte aziende hanno sottovalutato l’importanza dell’etica nella user experience. Il crescente uso dei cosiddetti “dark patterns” – elementi grafici progettati per spingere inconsapevolmente l’utente a compiere determinate azioni – ha portato a una perdita di fiducia diffusa nei confronti delle piattaforme coinvolte. Studi accademici hanno dimostrato come l’eccesso di persuasione, anche se tecnicamente efficace nel breve periodo, generi un danno d’immagine nel lungo termine, minando la relazione con l’utente.
Quando la tecnologia non ascolta le persone
Questi casi, tra loro diversi per settore e linguaggio, condividono un errore di fondo: l’aver posto la tecnologia prima delle persone. L’innovazione funziona solo se integrata con sensibilità, attenzione e ascolto. Le aziende che falliscono nel comprendere le reali esigenze emotive e pratiche dei consumatori rischiano non solo di perdere soldi, ma anche di compromettere irrimediabilmente la propria reputazione. La lezione è semplice ma decisiva: non basta innovare, bisogna farlo con empatia.










