Il carcere di prato è al centro di un’inchiesta che mette in luce condizioni inquietanti all’interno della struttura penitenziaria. Tra episodi di violenza sessuale, uso illecito di cellulari e router per connettersi a internet e recenti rivolte tra i detenuti, emerge un quadro segnato da gravi carenze nella gestione della sicurezza. Le autorità giudiziarie hanno intensificato le indagini con sequestri e verifiche per capire come sia possibile che simili eventi accadano in una struttura dove dovrebbero vigere controlli rigorosi.
Casi di violenza sessuale tra detenuti: due episodi agghiaccianti
La procura guidata da luca tescaroli ha segnalato due casi particolarmente gravi riscontrati negli ultimi anni. Il primo episodio risale a settembre 2023 quando un detenuto brasiliano di 32 anni avrebbe ripetutamente violentato il compagno di cella pachistano sotto minaccia con un rasoio. L’uomo è ora indagato per violenza sessuale aggravata. Il secondo caso riguarda fatti avvenuti tra il 12 e il 14 gennaio 2020: due detenuti italiani, rispettivamente di 36 e 47 anni, avrebbero torturato per giorni uno dei loro compagni tossicodipendente ed omosessuale alla sua prima esperienza dietro le sbarre. Le lesioni riportate sono state profonde sia sul piano fisico sia psicologico con effetti durati mesi dopo l’aggressione.
Processi ancora in corso e criticità sistemiche
I processi relativi a questi episodi sono ancora in corso mentre la procura sottolinea come i sistemi attuali non riescano a prevenire o fermare queste situazioni dentro al carcere. La vita dei detenuti viene così resa insicura e priva della minima dignità necessaria anche in ambiente carcerario.
Telefoni cellulari e router nascosti: la rete illegale dentro il carcere
Le indagini hanno portato alla luce una rete organizzata volta ad introdurre telefoni cellulari, sim card e dispositivi per collegarsi a internet dentro la struttura penitenziaria. Dal luglio del 2024 fino a giugno del 2025 gli agenti hanno sequestrato ben quarantquattro dispositivi elettronici tra telefoni, sim card e router distribuiti nelle celle soprattutto nella sezione media sicurezza.
Durante una recente perquisizione durata sette ore sono stati trovati oggetti nascosti nei modi più ingegnosi come un cellulare occultato dietro lo sportello del frigorifero in doppiofondo. L’uso diffuso dei dispositivi permette ai detenuti comunicazioni dirette con l’esterno attraverso social network o chat online.
Complicità e omissioni tra il personale
Secondo quanto riferito dalla procura molti strumenti circolano grazie anche alla complicità o all’omissione da parte degli agenti penitenziari che dovrebbero invece vigilare sul rispetto delle regole interne al carcere.
Video pubblicati su tiktok dal regime alta sicurezza: il caso del detenuto-influencer
Un episodio singolare ha attirato particolare attenzione mediatica: un recluso rinchiuso nel reparto Alta Sicurezza è riuscito a trasmettere dal proprio cellulare immagini direttamente dalla cella su TikTok durante una diretta video.
Nel filmato si vede chiaramente la branda mentre il protagonista conversa coi follower fuori dalle mura carcerarie usando un tono scherzoso accompagnando tutto con risate ed applauso virtuale degli spettatori. L’accento napoletano rende riconoscibile l’identità regionale dell’autore dello streaming.
Questo evento mette in evidenza non solo le falle nei controlli ma anche quanto siano permeabili i confini fra mondo esterno ed interno, alimentando tensione nella già fragile realtà detentiva della dogaia.
Recentissime rivolte nelle sezioni media sicurezza: armi improvvisate contro polizia penitenziaria
Negli ultimi mesi si sono susseguite almeno due rivolte significative all’interno delle sezioni dedicate ai soggetti considerati mediamente rischiosi. La prima, datata quattro giugno, ha coinvolto cinque uomini provenienti da italia, marocco e libia. Armatisi con spranga ricavata dallo smontaggio delle finestre, forbici, cacciaviti oltre ad altri oggetti rudimentali minacciarono gli agenti perché rifiutavano rientrare nelle celle durante la notte dicendo “stasera non torniamo perché vogliamo fare guerra”.
Secondo episodio e intervento della squadra antisommossa
Il secondo episodio esploso cinque luglio ha visto almeno dieci persone barricarsi rovesciando mobili contro porte blindate impedendo agli agenti di entrare. Anche qui vennero impugnate armi improvvisate quali fornellini col gas, bomboletta, pedali prelevate dalle carrozzine, pentole oltre ad altro materiale comune trasformato in armi offensive.
L’intervento tempestivo degli agenti della squadra antisommossa permise sedare rapidamente la rivolta ma ora si procede penalmente contro alcuni partecipanti accusandoli di rivolta, resistenza, lesioni e danneggiamento.
La procura definisce così lo stato attuale della dogaia: fuori controllo sotto pressione continua causata dal diffondersi dell’illegalità interna senza adeguato controllo né garanzie sulla tutela dell’incolumità dei reclusi e del personale addetto alla sorveglianza.