
L'articolo analizza il ruolo di programmi televisivi come "Chi l’ha visto?" nella trasformazione della cronaca nera, evidenziando l’equilibrio tra informazione, riflessione sociale e rischio di spettacolarizzazione che può offuscare il rispetto per le vittime. - Unita.tv
Negli ultimi anni, programmi televisivi dedicati alla cronaca nera, come chi l’ha visto?, hanno assunto un ruolo particolare nel racconto degli eventi drammatici. La trasmissione, condotta da federica sciarelli, richiama sempre più l’attenzione su casi irrisolti e vicende delicate, diventando una sorta di “guida morale” per chi segue le indagini. Questo approccio rappresenta una trasformazione del modo in cui il pubblico percepisce la cronaca, spostando l’interesse oltre la semplice narrazione per porsi come elemento di ordine e riflessione in un contesto sociale frammentato.
Il ruolo di federica sciarelli e chi l’ha visto nella tv di cronaca
“Chi l’ha visto?” non è soltanto un programma di approfondimento, ma viene percepito come una vera e propria istituzione nella televisione italiana dedicata alla cronaca nera. Federica Sciarelli, storica conduttrice, ha reso il suo volto e la sua voce un punto di riferimento per un pubblico vasto, assumendo un ruolo che va oltre il semplice racconto dei fatti. Secondo alcune analisi, la conduttrice interpreta una funzione quasi “morale” in cui cerca di ristabilire un senso di giustizia nel caos mediatico contemporaneo.
La trasmissione mantiene così un equilibrio tra il racconto giornalistico e la dimensione quasi istituzionale, dove i casi presentati diventano ponti verso una riflessione più profonda sulla società. La sceneggiatura di chi l’ha visto viene infatti modellata dai fatti reali, con un’attenzione particolare a non superare il limite tra informazione e spettacolo, anche se tale confine risulta spesso sottile.
La trasformazione della cronaca nera in fenomeno mediatico
L’attenzione crescente verso la cronaca nera nella televisione italiana è un fenomeno che non si limita a chi l’ha visto. Alberto Matano, altra figura nota in ambito televisivo, viene ironicamente associato a questa “garlascologia”, ovvero allo studio del racconto morboso di casi di cronaca. Si è creato un filone mediatico che sembra trovare nelle tragedie un modo per attrarre spettatori e allo stesso tempo offrire uno sfogo emotivo.
Come scrive matteo marchesini sul Foglio, queste trasmissioni smettono di essere semplici strumenti d’informazione e diventano spazi di “catarsi aberrante”. Lo spettatore si trasforma da osservatore distaccato in parte coinvolta, una sorta di complice che si immerge nel dolore degli altri per distrarsi o per sfogarvi le proprie frustrazioni. La cronaca nera si trasforma così in un rito collettivo che alimenta la curiosità morbosa e, allo stesso tempo, fa diventare la sofferenza altrui un passatempo.
La spettacolarizzazione e le conseguenze per le vittime
Il rischio di questa trasformazione è che, paradossalmente, l’attenzione spasmodica ai casi di cronaca porti a una progressiva perdita di rispetto verso le vittime. Come sottolinea giuseppe grasso, lo scrupolo della decenza rischia di essere abbandonato, lasciando spazio a una crescente indifferenza. La sofferenza reale diventa un fondo astratto e anestetizzato, in cui la sensibilità collettiva si intorpidisce.
La cronaca nera spettacolarizzata può così produrre un “veleno” che offusca la percezione diretta della tragedia, trasformando la vittima in un dato statistico o in un elemento di intrattenimento. La maggiore esposizione mediatica spesso non si traduce in empatia ma in un distacco che indebolisce il valore umano della vicenda raccontata. Questo processo pone una sfida al giornalismo: mantenere viva l’attenzione senza ridurre la realtà a mero oggetto di consumo.
Il doppio volto della cronaca nella società contemporanea
Il dibattito intorno a programmi come chi l’ha visto rimane acceso perché, oltre a fornire un servizio pubblico, riflette le tensioni di una società che osserva il dolore altrui attraverso lo schermo con una doppia anima: quella che cerca giustizia e quella che si perde nel sensazionalismo.