A Gaza il divieto di ingresso per i giornalisti conferma il controllo stretto che Israele esercita sulla narrazione del conflitto, mentre dieci influencer di rilievo internazionale sono stati invitati a raccontare una versione positiva della vita nella Striscia. Questa scelta fa parte di una strategia comunicativa che diffonde immagini e messaggi pro-israeliani attraverso i social, bypassando i canali tradizionali di informazione.
L’assenza quasi totale di giornalisti nei territori di Gaza impedisce la verifica indipendente delle condizioni della popolazione palestinese. Nel frattempo, una selezione di influencer con milioni di follower ha prodotto contenuti che descrivono Gaza come un luogo senza carenze alimentari o crisi umanitarie, in netto contrasto con i rapporti delle Nazioni Unite e le testimonianze internazionali.
La difficile situazione dell’informazione a Gaza tra censura e accessi selettivi
Dal 2025, il governo israeliano ha rafforzato il divieto di ingresso per la stampa indipendente nella Striscia di Gaza. Questa decisione aumenta l’isolamento mediatico della regione e impedisce reportage diretti sulle condizioni di vita e sugli effetti dei conflitti nell’area. Le organizzazioni internazionali denunciano come questa barriera limiti la possibilità di documentare aspetti fondamentali come la carenza di cibo, l’accesso ai servizi sanitari e le conseguenze umanitarie degli scontri.
Nel frattempo, Gaza resta uno dei punti caldi della geopolitica mediorientale, con tensioni continue tra Israele e gruppi armati palestinesi. La restrizione degli accessi arriva in un momento in cui la popolazione palestinese della Striscia affronta grandi difficoltà, tra blocchi delle forniture e conseguenze economiche e sociali. L’impossibilità di verificare da vicino la situazione alimenta confronti aspri e una narrazione frammentata del conflitto.
A questa limitazione si aggiunge un fenomeno recente: l’ingresso selettivo di influencer israeliani e internazionali, scelti dal governo per mostrare una versione positiva delle istituzioni e della vita nella Striscia. Questo tipo di controllo dell’informazione modifica il modo in cui l’opinione pubblica globale osserva la crisi, favorendo immagini distorte.
Influencer al servizio della propaganda: i volti scelti per mostrare “una vita serena” a Gaza
Il governo israeliano ha investito risorse per ingaggiare almeno una decina tra i più noti influencer social, come Xaviaer DuRousseau, Marwan Jaber, Jeremy Abramson e Brooke Goldstein. Questi hanno ricevuto compensi rilevanti per realizzare contenuti che descrivono la quotidianità di Gaza senza carenze alimentari, raccontando invece storie di una società attiva e dotata di servizi.
La scelta di utilizzare influencer si spiega con la loro capacità di raggiungere un pubblico ampio e variegato, soprattutto tra le giovani generazioni che usano i social come principale fonte di informazione. Questi professionisti della comunicazione digitale hanno il compito di creare video, storie e post che evidenziano aspetti positivi e mettono in luce presunti gesti di generosità da parte degli israeliani verso i palestinesi.
Registrazioni brevi e immagini accattivanti attenuano la percezione dell’emergenza umanitaria denunciata da organizzazioni indipendenti. La campagna social, in corso da mesi, mira a contraddire la realtà osservata da fonti autonome e a contrastare il dolore e le proteste internazionali nate dagli attacchi e dal blocco.
La campagna “Rivelare la verità” e la frattura tra percezione e realtà a Gaza
La campagna di propaganda “Rivelare la verità” è coordinata dal ministero per gli Affari della Diaspora di Israele, che punta a sostituire la copertura giornalistica con messaggi virali e controllati. L’obiettivo non è convincere con dati o analisi, ma saturare lo spazio mediatico e creare un divario tra ciò che il pubblico vede e ciò che accade realmente a Gaza.
L’operazione non nega del tutto le sofferenze ma sembra simulare una dissociazione collettiva tra chi osserva e quanto accade. Questa divisione tra conoscenza razionale ed esperienza emotiva lascia la popolazione mondiale spettatrice di un dramma difficile da comprendere e su cui intervenire.
Il meccanismo favorisce la normalizzazione delle violenze e delle restrizioni, riducendo l’orrore a un sottofondo assordante e silenzioso. La propaganda diventa così uno strumento per mantenere uno stato di crisi senza suscitare reazioni forti da parte delle comunità internazionali, trasformando l’inumanità in un dato abituale.
La persistenza di un modello storico di cancellazione del dolore e delle ingiustizie
L’uso degli influencer per manipolare la percezione sulla Striscia di Gaza riflette una tradizione più ampia che ha accompagnato i rapporti tra paesi occidentali e territori colonizzati o soggetti a sfruttamento. L’impiego di narrazioni distorte e la cancellazione delle sofferenze profonde non è nuova, ma assume forme aggiornate con i social media.
La strategia di sospendere la consapevolezza senza nascondere del tutto la realtà fa parte di una dinamica storica in cui la percezione collettiva viene gestita per mantenere interessi politici ed economici. È una pratica che alimenta l’impotenza del singolo davanti a tragedie globali e favorisce una sorta di rimozione psicologica.
Questa campagna conferma come la comunicazione digitale oggi possa creare divisioni tra fatti verificabili e versioni ufficiali con scopi politici. Il caso di Gaza mostra come il controllo dell’informazione passi da un lato dalla censura, dall’altro da nuove forme di manipolazione mediatica.
Le conseguenze a livello internazionale comprendono la crescita di dubbi, contestazioni e un allontanamento dei cittadini da posizioni di impegno diretto, incapaci di superare la barriera emotiva innalzata da queste narrazioni contrastanti. La realtà di Gaza resta un nodo irrisolto, attraversato da conflitti e tentativi di controllo sulla verità.
Ultimo aggiornamento il 25 Agosto 2025 da Andrea Ricci