La storia del denim giapponese: dall’ossessione per i Levi’s alla qualità artigianale

Il denim giapponese, simbolo di qualità e innovazione, ha radici storiche a Tokyo e Osaka. Kojima, nella Prefettura di Okayama, è oggi la capitale mondiale del denim artigianale.
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Il denim giapponese ha una storia affascinante che affonda le radici nei primi anni del dopoguerra, quando i soldati americani iniziarono a vendere i loro jeans Levi’s nei mercatini di Tokyo e Osaka. Questo fenomeno ha segnato l’inizio di un’industria che oggi è sinonimo di alta qualità e innovazione nel settore dell’abbigliamento. L’articolo esplora come il Giappone sia diventato un leader mondiale nella produzione di denim, analizzando i processi di produzione, le tecniche artigianali e i marchi che hanno contribuito a questa straordinaria evoluzione.

Kojima: la capitale del denim giapponese

Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, i soldati americani, trovandosi in Giappone, iniziarono a vendere i loro jeans Levi’s a prezzi accessibili. Questo gesto ha innescato un’ossessione per il denim tra i giovani giapponesi, che erano attratti dalla cultura americana. Negli anni ’50 e ’60, il Giappone si trovava in un periodo di rapida ricostruzione e industrializzazione, e il denim divenne un simbolo di ribellione giovanile. Tuttavia, i giapponesi non si limitarono a indossare questi capi: iniziarono a studiarli e a comprendere le tecniche di produzione, dando vita a un’industria del denim che avrebbe raggiunto livelli di eccellenza.

Kojima, un quartiere della città di Kurashiki nella Prefettura di Okayama, è oggi riconosciuto come la capitale del denim giapponese. Qui si trovano aziende storiche come Kaihara, fondata nel 1893, che inizialmente produceva tinture per kimono e che ora è leader nella produzione di denim premium. Altre aziende, come Big John e Maruo Hifuku, hanno contribuito a definire il panorama del denim giapponese, utilizzando telai dismessi e tecniche tradizionali per creare jeans di alta qualità.

Il segreto della qualità: telai Toyoda e denim selvedge

A differenza delle aziende americane che negli anni ’50 adottarono macchinari più veloci e meno costosi, i produttori giapponesi scelsero di mantenere la tradizione. Recuperarono i telai a navetta, tra cui i leggendari Toyoda G3, realizzati dalla Toyota, che hanno avuto un ruolo cruciale nella nascita dell’industria del denim in Giappone. Questi telai, capaci di tessere lentamente e con precisione, producono tessuti più densi e resistenti.

Il denim giapponese è caratterizzato dal cosiddetto “selvedge”, un bordo rifinito che previene lo sfilacciamento. Questo dettaglio, visibile all’interno dei jeans e nella piccola tasca quadrata, è una firma distintiva del denim giapponese e ne attesta l’autenticità. La produzione su telai tradizionali è molto più lenta rispetto ai moderni macchinari industriali, con una capacità di circa 40 metri di tessuto al giorno, rispetto alle centinaia di metri delle produzioni standard.

Il denim giapponese non è solo un prodotto di moda, ma rappresenta un’espressione culturale che unisce tecniche locali a un’estetica globale. La filosofia del “wabi-sabi”, che valorizza l’imperfezione, si riflette nei jeans, che evolvono nel tempo mostrando il vissuto di chi li indossa.

L’indaco “Japan Blue” e la scelta dei materiali

La qualità del denim giapponese non dipende solo dalla tessitura, ma anche dalla scelta dei materiali. Molti marchi utilizzano cotone proveniente dallo Zimbabwe, noto per le sue fibre lunghe e resistenti, che garantiscono una maggiore durata. Per la tintura, viene utilizzato l’indaco naturale “Japan Blue”, coltivato quasi esclusivamente nella regione di Tokushima, all’estremità est dell’isola di Shikoku. Questo tipo di tintura crea sfumature uniche per ogni jeans, in base a come viene indossato e lavato, solitamente ogni tre o sei mesi.

Acquistare un jeans giapponese significa scegliere un prodotto realizzato per durare nel tempo, che migliora con l’uso e si distingue per la sua qualità artigianale. Ogni paio di jeans racconta una storia, riflettendo l’impegno e la passione dei produttori.

I marchi e gli stilisti che hanno fatto la storia

Negli anni ’70 e ’80, sono emersi i primi marchi dedicati esclusivamente al denim artigianale, noti come i Big Five o Osaka Five: Evisu, Studio D’Artisan, Denime, Warehouse e Fullcount. Questi marchi sono ancora oggi considerati tra i migliori produttori di jeans made in Japan, insieme a nomi come Momotaro, Pure Blue Japan, Samurai Jeans e Oni Denim.

Il denim giapponese ha conquistato anche il mondo dell’alta moda, con marchi come Ralph Lauren, Balenciaga, Gucci e Tom Ford che utilizzano tessuti giapponesi per le loro collezioni premium. Designer giapponesi come Junya Watanabe, Visvim e Yohji Yamamoto hanno integrato il denim giapponese nelle loro creazioni, mescolando artigianalità e design contemporaneo. Watanabe, in particolare, ha dedicato la sua collezione uomo per la primavera 2025 al denim, utilizzando 50 tipi diversi di tessuti e intricate lavorazioni patchwork.

I costi e il valore del denim giapponese

La qualità del denim giapponese si riflette anche nel prezzo. Un jeans nuovo di fascia alta può costare tra i 250 e i 500 dollari, con edizioni limitate che superano i 1000 dollari. I modelli vintage, in particolare quelli prodotti tra gli anni ’80 e ’90 dai marchi storici, possono raggiungere cifre molto più elevate. Alcuni Levi’s 501 XX del dopoguerra venduti nei mercatini di Osaka sono stati battuti all’asta per oltre 10.000 dollari.

Il marchio americano Levi’s continua a essere molto apprezzato dagli appassionati e collezionisti, a patto che sia realizzato in Giappone, utilizzando tessuti e tecniche tradizionali di Okayama. Sebbene Levi’s sia il brand che ha creato il jeans moderno, i modelli giapponesi hanno acquisito una particolare fama e ricercatezza a livello globale, incarnando il meglio delle due culture del denim: la tradizione americana e l’artigianalità giapponese.

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