La mostra del cinema di Venezia abbandona il termine “madrina”: una scelta di linguaggio inclusivo

La Mostra del Cinema di Venezia, diretta da Alberto Barbera, sostituisce il termine “madrina” con “conduttrice”, promuovendo un linguaggio più inclusivo e valorizzando il ruolo femminile nel panorama cinematografico.

La mostra del cinema di Venezia abbandona il termine "madrina": una scelta di linguaggio inclusivo

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La Mostra del Cinema di Venezia, uno degli eventi cinematografici più prestigiosi al mondo, ha annunciato un cambiamento significativo nel suo linguaggio. A partire dalla prossima edizione, il termine “madrina” sarà sostituito da “conduttrice“. Questa decisione, comunicata dal direttore Alberto Barbera, riflette un’evoluzione verso un linguaggio più inclusivo e attento alle sensibilità contemporanee. L’attenzione alle parole, come sottolineato dal regista Nanni Moretti, è fondamentale in un contesto culturale in continua trasformazione.

Un cambiamento simbolico e culturale

La sostituzione del termine “madrina” con “conduttrice” non è solo una questione di etichetta, ma rappresenta un passo verso una maggiore inclusività nel linguaggio utilizzato nel mondo del cinema. Barbera ha affermato che non si tratta di una rivoluzione, ma di una necessità di adattare il linguaggio alle nuove sensibilità. Il termine “madrina” era percepito da molti come una diminuzione del ruolo, simile a “valletta“, suggerendo un compito ornamentale piuttosto che un ruolo attivo e significativo. Con la nuova terminologia, si intende valorizzare la figura della conduttrice, conferendole un’importanza maggiore nella conduzione delle cerimonie di apertura e chiusura.

Questo cambiamento segue una tendenza più ampia nel panorama culturale italiano, dove eventi come il Festival di Sanremo hanno già adottato un linguaggio più attento e inclusivo. La figura della conduttrice, che affiancherà un conduttore, rappresenta un passo verso una maggiore parità di genere, anche se, come sottolineato da Barbera, il conduttore rimane un uomo, una scelta che ha sollevato interrogativi sulla reale evoluzione del ruolo femminile in questi eventi.

La storia delle madrine alla mostra del cinema

Il termine “madrina” è stato utilizzato per la prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1999, anno in cui Alberto Barbera ha assunto la direzione. Da quel momento, si sono alternate 22 madrine, con l’ultima in carica, Sveva Alviti. In contrasto, solo due uomini hanno ricoperto il ruolo di padrino: Alessandro Borghi e Michele Riondino. Questo squilibrio di genere ha sollevato interrogativi sulla percezione del ruolo maschile in un contesto tradizionalmente dominato da figure femminili.

La decisione di eliminare il termine “madrina” è quindi anche una risposta a critiche più ampie riguardo alla rappresentazione delle donne nel mondo dello spettacolo. La figura del padrino, al contrario, ha mantenuto una certa nobiltà, continuando a rappresentare un simbolo di autorità e prestigio. Questa disparità di trattamento tra i due ruoli ha portato a riflessioni sul patriarcato e sulla mascolinità tossica, questioni che il cinema e la cultura in generale stanno cercando di affrontare.

Verso un linguaggio più inclusivo

La scelta di adottare un linguaggio più inclusivo non è solo una questione di termini, ma riflette un cambiamento più ampio nella società. Le parole hanno un potere significativo e possono influenzare la percezione dei ruoli di genere. La Mostra del Cinema di Venezia, seguendo l’esempio di altri eventi, si inserisce in un dibattito più ampio su come il linguaggio possa contribuire a una maggiore equità di genere.

Barbera ha sottolineato che l’obiettivo è quello di dare un ruolo più attivo alle conduttrici, spostando l’attenzione da un’immagine passiva a una partecipazione più significativa. Questo cambiamento potrebbe rappresentare un passo importante verso una maggiore rappresentanza femminile nel mondo del cinema, non solo come figure ornamentali, ma come protagoniste attive e influenti.

La Mostra del Cinema di Venezia, con questa nuova direzione, si propone di essere un esempio di come il linguaggio possa evolversi e adattarsi alle nuove esigenze sociali, contribuendo a una cultura più inclusiva e rispettosa delle diversità.