
Il ghetto ebraico di Roma, segnato da tensioni e cambiamenti demografici, vive un momento di attesa tra elezioni comunitarie e proteste contro Netanyahu, mentre la memoria della Shoah e la vita quotidiana si intrecciano in un clima di prudenza e riservatezza. - Unita.tv
Nel cuore del ghetto ebraico di Roma, nei giorni che precedono la grande manifestazione contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, la vita quotidiana mostra segni profondi di cambiamento. Un tempo centro pulsante di una comunità numerosa, oggi il quartiere si presenta con pochi residenti e un’atmosfera che mescola tensione e normalità. La vigilia delle elezioni per la comunità ebraica si intreccia con l’attesa di una mobilitazione nazionale, mentre pranzi kosher si consumano accanto a nuovi punti vendita che sfidano le tradizioni.
La presenza discreta degli ebrei e il clima di diffidenza nel ghetto
Nel ghetto di Roma, tra via Santa Maria del Pianto e piazza Mattei, i segni della vita ebraica tradizionale appaiono attenuati. In strada, molti ebrei hanno scelto di nascondere simboli come la kippah, celandola sotto cappelli da baseball o tenendola nel taschino, seguendo consigli del rabbino capo. Le mamme evitano di intrattenersi con estranei, mentre nella piazza si percepisce una quiete che però nasconde un timore palpabile. L’agente della Digos incaricato della sorveglianza spiega che da metà ottobre le presenze nel quartiere sono calate, specialmente i turisti, intimoriti dagli eventi in Medio Oriente.
Alcuni ristoratori, come Rabea, lamentano una riduzione evidente della clientela, definendo la situazione “un disastro”. Tuttavia, altri sottolineano che il quartiere sta comunque resistendo: sono stati aperti nuovi locali e la vita, seppur rallentata, non si è fermata totalmente. Nelle strade si respira quella che Emanuele Di Porto, sopravvissuto alla Shoah, chiama “accortezza”, uno stato di allerta che non è panico ma prudenza, un modo per tutelare la propria sicurezza senza abbandonare del tutto il territorio.
La presenza della polizia è costante ma discreta, con un servizio d’ordine organizzato anche vicino alla scuola ebraica Vittorio Polacco, dove campeggiano le foto degli ostaggi israeliani. Chi abita nel quartiere mantiene un basso profilo e preferisce non discutere apertamente della crisi politica israeliana o delle tensioni sociali, in attesa che i giorni turbolenti passino.
Il cambio di pelle del quartiere e la nazionalità dominante
Il ghetto romano non è più quello di un tempo. I pochi ebrei rimasti nel quartiere si aggirano tra ristoranti kosher e negozietti, ormai frequentati anche da una componente straniera in crescita. La nazionalità prevalente è americana, seguita dai francesi che frequentano il piccolo museo fotografico e acquistano scatti storici di Mario Dondero. Non manca la presenza di volti noti come il giornalista Enrico Mentana, che ogni giorno si siede a un tavolo del quartiere con le sue bimbe, e personaggi dello spettacolo come Mara Venier e Lucia Annunziata, residenti negli edifici attorno a piazza Mattei.
La kippah a vista è sempre più rara, sostituita da un approccio che preferisce la discrezione. La presenza di prosciutto e altri prodotti non kosher nel quartiere testimonia il cambiamento del tessuto commerciale, segnando una rottura rispetto alla tradizione ebraica. Un ristorante della zona, BaGhetto, gestito dalla famiglia Avi, esprime il desiderio di una fine rapida del conflitto in Israele, sottolineando la sofferenza e la necessità di liberare gli ostaggi.
Con lo sguardo di Mentana che si sofferma sulla politica del Medio Oriente, emerge così un panorama in cui, dentro un quartiere con meno di venti residenti ebrei, si riflette in piccolo la complessità delle posizioni politiche contemporanee. Il legame con Israele resta vivo, ma si intreccia con il dibattito sulla sinistra italiana e il cambiamento di alleanze internazionali.
Le elezioni della comunità ebraica e la riservatezza del voto
Proprio in questi giorni si svolgono le elezioni della comunità ebraica romana, appuntamento centrale per circa diecimila elettori. Sono state presentate tre liste: quella dell’uscente Victor Fadlun, un politico di centro che punta a rafforzare il suo consenso, e quelle di Noemi Di Segni e Barbara Pontecorvo, con la lista di Di Segni considerata più vicina alla sinistra. Il clima elettorale si mantiene riservato, con un silenzio che sembra voler evitare divisioni in un momento delicato.
Il rimpasto politico locale si riflette anche nel quartiere, dove la composizione demografica e culturale si è modificata negli anni. La sinagoga e la libreria comunitaria restano punti di riferimento per la vita ebraica, ma attorno c’è un senso palpabile di attesa e attenzione, soprattutto in vista della manifestazione di piazza San Giovanni contro Netanyahu.
Le discussioni politiche restano sullo sfondo. Nessuno vuole dare spazio a polemiche interne o divisioni e, come sottolineano alcuni abitanti e commercianti, il desiderio condiviso è principalmente quello di una vita più tranquilla e di una fine della guerra che scuote il Medio Oriente.
Ricordi di shoah e testimonianze dirette dalla panchina del ghetto
Al centro del ghetto, una panchina di legno diventa il luogo dove Emanuele Di Porto, novantaquattro anni, racconta la sua storia di sopravvissuto alla Shoah. Il suo racconto richiama il rastrellamento nazista di ottobre 1943 e la drammatica scelta della comunità di consegnare un’ingente somma d’oro per cercare di evitare la cattura dei membri più in vista. Nonostante la raccolta, i fascisti e i tedeschi colpirono comunque.
Di Porto ricorda la sua fuga disperata dalla madre, la paura e la solidarietà inaspettata di alcuni bigliettai del tram che lo proteggevano a rischio della loro vita. Il sopravvissuto riconosce oggi in quei gesti un segno di umanità possibile anche nelle circostanze più terribili.
Davanti alla domanda su Netanyahu, il racconto si fa più introspettivo e meno diretto. Di Porto si definisce ebreo “per azzardo”, un uomo rimasto in vita per caso, che ogni giorno cerca testimoni a cui narrare il passato. La sua storia è memoria vissuta, testimonianza che trascende il tempo e tiene accesa la consapevolezza di quel che fu e di quel che significa vivere in un luogo che porta i segni della storia e delle sue ferite.