Con l’1 agosto alle porte, l’Unione Europea spinge per tenere vivi i negoziati con gli Stati Uniti. L’obiettivo è evitare una guerra commerciale che potrebbe mettere a dura prova le imprese italiane. Al centro del confronto ci sono i dazi doganali americani e la tassazione delle grandi aziende tecnologiche Usa attive in Europa. Un tema che va ben oltre la semplice politica fiscale, con potenziali conseguenze pesanti per il nostro sistema produttivo. Le multinazionali digitali straniere continuano a beneficiare di regimi fiscali molto favorevoli, scatenando tensioni sia diplomatiche che economiche.
Dazi Usa in arrivo: l’allarme per l’export italiano
Gli Stati Uniti hanno annunciato dazi fino al 30% su una serie di prodotti europei. L’obiettivo è proteggere alcune industrie americane, ma il prezzo rischia di essere altissimo per l’export dell’Unione verso gli Usa, e in particolare per l’Italia. Secondo la Cgia, l’impatto economico potrebbe arrivare fino a 35 miliardi di euro all’anno, più o meno quanto una legge finanziaria nazionale.
Il problema non è solo l’aumento dei costi per le esportazioni italiane. A pesare sono anche gli effetti indiretti: il dollaro che si svaluta rispetto all’euro, rendendo i prodotti europei meno competitivi; l’incertezza che cresce sui mercati finanziari; e il rincaro delle materie prime, che fa lievitare i costi di produzione. Tutto questo mette in difficoltà soprattutto le aziende del settore manifatturiero.
Le istituzioni europee seguono con attenzione gli sviluppi e cercano di ottenere condizioni migliori per evitare o almeno contenere l’aumento dei dazi. Se però non si troverà un accordo entro l’inizio di agosto, la Commissione Europea potrebbe rispondere con un pacchetto di contromisure, comprese sanzioni rivolte alle grandi aziende tecnologiche americane.
Big Tech e tasse: la partita che infiamma il dialogo transatlantico
Le grandi multinazionali Usa dell’informatica e del web fanno profitti enormi anche in Europa, ma pagano tasse molto basse grazie a strategie fiscali che puntano su paesi con imposte ridotte. Questa situazione non va giù né all’Europa né agli stessi Stati Uniti e resta uno dei nodi più spinosi nelle trattative commerciali internazionali.
Il tema ha preso forza già sotto l’amministrazione Trump, soprattutto per le richieste europee di una tassazione globale uniforme per i giganti digitali. Al G7 di giugno in Canada, gli Usa hanno ottenuto una deroga per le proprie multinazionali dalla cosiddetta Global minimum tax, una tassa minima al 15% per aziende con ricavi superiori a 750 milioni di euro. Per le imprese di altri Paesi Ocse, invece, questa soglia resta valida.
Questa disparità ha aumentato le tensioni tra Washington e Bruxelles. In Europa, questi colossi attirano sempre più attenzione per i ricavi elevati che realizzano nel mercato comunitario. Nel 2022, i primi 20 gruppi tecnologici statunitensi hanno fatturato quasi 1.345 miliardi di euro a livello globale, una cifra che vale circa il 70% del Pil italiano dello stesso anno.
Italia, big tech e tasse: numeri che fanno discutere
Anche in Italia le grandi aziende digitali americane registrano fatturati molto alti, sopra i 9 miliardi di euro nel 2022. Ma quello che versano in tasse è ben poca cosa: poco più di 200 milioni di euro. Questo divario alimenta il dibattito su trasparenza, equità e incentivi fiscali.
Le multinazionali sfruttano strutture legali che permettono di abbattere la pressione fiscale, spostando profitti in paesi con regimi più leggeri. Una pratica criticata duramente dalle autorità fiscali italiane e da chi si occupa di giustizia tributaria. Per questo, eventuali sanzioni o misure di ritorsione da parte dell’Europa non sarebbero solo una risposta commerciale, ma un tentativo di sistemare il sistema fiscale a livello internazionale.
Il confronto sulle big tech resta complicato. Le decisioni di Bruxelles influenzano i rapporti con Washington e le strategie economiche delle multinazionali. Una partita ancora aperta, decisiva per il futuro dei rapporti economici e fiscali tra Europa e Stati Uniti, e per le scelte che dovrà affrontare anche il governo italiano.
Ultimo aggiornamento il 19 Luglio 2025 da Luca Moretti