La polizia economico-finanziaria di Treviso ha messo sotto sequestro preventivo urgente, su ordine della Procura Europea di Venezia, beni per oltre 480mila euro. Nel mirino è finito Flavio Zanarella, imprenditore padovano, insieme ad altre cinque persone, tutti accusati di essersi appropriati indebitamente di fondi pubblici legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza . Dietro questa vicenda emerge un sistema di truffa e autoriciclaggio che ha preso di mira risorse destinate a sostenere le piccole e medie imprese italiane.
Frode e autoriciclaggio: cosa hanno scoperto gli investigatori
L’azione della Procura Europea ha bloccato somme di denaro ritenute frutto di attività illecite. Le indagini puntano su Zanarella e cinque complici, accusati di aver ottenuto finanziamenti Pnrr con dichiarazioni false. Il totale indebitamente acquisito supera i 486mila euro. Di questa cifra, circa 183mila sarebbero stati girati attraverso operazioni di autoriciclaggio per nascondere la provenienza illegale.
Le accuse parlano chiaro: truffa aggravata, malversazione ai danni dello Stato e riciclaggio. Il sequestro ha riguardato beni distribuiti in diverse province, da Treviso a Venezia, da Padova a Brescia, passando per Barletta-Andria-Trani e Bari.
Zanarella e le accuse precedenti: i legami con i fondi Simest
Non è la prima volta che Zanarella finisce sotto la lente degli inquirenti. Oltre all’indagine europea, è sotto accusa anche dalla Procura di Treviso. In passato è stato agli arresti domiciliari con l’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata a bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio. Al centro delle accuse ci sono fondi nazionali per circa 1,7 milioni di euro erogati da Simest, l’agenzia statale che sostiene la crescita delle imprese italiane.
Il nuovo filone punta invece ai fondi europei del Pnrr, sempre passati da Simest, ottenuti con metodi simili a quelli usati per i fondi nazionali. Questi soldi erano destinati a spingere la digitalizzazione delle piccole e medie imprese, migliorandone tecnologie e produttività.
Come è stata messa in piedi la frode sui finanziamenti Pnrr
Gli accertamenti hanno rivelato che quattro società coinvolte nella vicenda hanno falsificato documenti per ingannare chi eroga i fondi. In particolare, hanno dichiarato sedi operative nel Sud Italia mai realmente attive e una solidità economica inesistente, visto che erano in liquidazione giudiziaria.
Hanno presentato progetti mai avviati, giustificando così la richiesta dei soldi pubblici. I fondi ottenuti illegalmente non sono stati usati per gli scopi dichiarati: sono serviti invece a pagare vecchi debiti o sono stati divisi tra gli indagati come guadagni illeciti. Questa fase di reimpiego dei fondi è al centro dell’inchiesta sull’autoriciclaggio.
Indagini in tutta Italia: un colpo duro alle risorse per la ripresa
Le misure cautelari sono scattate in diverse province, dal Nord al Sud. Questo mostra quanto fosse ramificata e articolata l’organizzazione dietro la frode. Coinvolgere più società su territori diversi ha facilitato il riciclaggio e reso più difficile risalire ai soldi.
I fondi sottratti al Pnrr sono un danno concreto per lo Stato e l’Unione Europea, che puntano a modernizzare le imprese italiane in settori chiave. In un momento in cui la digitalizzazione è essenziale per restare competitivi, perdere queste risorse significa rallentare l’intero sistema produttivo e i progetti futuri.
Le indagini continueranno per chiarire il ruolo di tutti gli indagati e per scoprire se ci sono altri casi simili legati ai finanziamenti pubblici. L’intervento della Procura Europea è un segnale forte: c’è massima attenzione per proteggere i fondi comunitari dedicati alla ripresa economica post-pandemia.
Ultimo aggiornamento il 30 Luglio 2025 da Matteo Bernardi