Il sacerdote don Nandino Capovilla, noto per il suo impegno nella pace, è stato fermato e allontanato da Israele per motivi di “pubblica sicurezza”. La sua esperienza ha messo in luce un punto di vista critico riguardo al conflitto israelo-palestinese e alle giustificazioni ufficiali che spesso vengono accettate senza discussione. Il parroco ha usato parole forti e ha sollevato dubbi sulle responsabilità, tornando a casa con un divieto d’ingresso che potrebbe diventare definitivo.
L’arresto e l’espulsione di Don Nandino Capovilla da Tel Aviv
Il 2025 ha segnato un nuovo capitolo per don Nandino Capovilla, parroco di Marghera e attivista per la pace, bloccato all’aeroporto di Tel Aviv e espulso da Israele. Le autorità locali gli hanno notificato un provvedimento di “deny to entry”, una misura adottata per motivi di sicurezza pubblica che, in questo caso, impedisce al sacerdote di entrare nuovamente in Israele e, di fatto, in tutta l’area palestinese. Secondo quanto riferito, il permesso può essere revocato solo mediante una richiesta speciale soggetta a una valutazione molto rigorosa.
L’espulsione arriva in un momento in cui le tensioni nella regione restano altissime. Don Capovilla aveva raggiunto Israele con l’obiettivo di osservare da vicino la situazione sul terreno e sostenere iniziative di dialogo e solidarietà. Il fermo ha creato un precedente importante, segnalando una stretta nei controlli verso chi, dall’estero, intende portare attenzione alle violazioni dei diritti e alle sofferenze dei civili coinvolti nella guerra.
L’accusa di un genocidio e la critica alla “autodifesa” invocata da Israele
Durante un’intervista al blog “Tra cielo e Terra”, don Capovilla ha espresso un giudizio netto sulla situazione: si sarebbe ormai arrivati a una forma di “genocidio”, alimentato da una pratica pericolosa che minimizza ogni violazione chiamandola “autodifesa”. Secondo il sacerdote, proprio questa giustificazione sistematica copre abusi gravi, come l’uccisione di civili innocenti in fila per il pane.
Queste parole mettono in discussione l’accettazione passiva degli eventi da parte dell’opinione pubblica e anche di alcuni settori politici e mediatici. Capovilla sottolinea che questa “pessima abitudine” tende a sminuire tragedie che dovrebbero invece essere denunciate con maggiore forza e chiarezza. La sua posizione non si limita a un discorso morale, ma solleva un tema di diritto internazionale e responsabilità politica in una crisi che dura da decenni.
Le conseguenze pratiche del divieto d’ingresso e il controllo israeliano sui territori
L’espulsione da Israele comporta per don Nandino Capovilla limitazioni estese. La decisione di vietargli l’ingresso include anche l’area palestinese, dato che il controllo sui territori è interamente in mano israeliana. Questo impedisce al parroco di proseguire i suoi viaggi di missione e osservazione, limitando la possibilità di testimoniare direttamente le condizioni di vita della popolazione locale.
Il “deny to entry” non è solo una misura amministrativa, ma un segnale politico chiaro. Può durare a tempo indefinito e rende molto complicato, per chi viene colpito, ritornare per studi, interventi umanitari o semplici visite. Don Capovilla ha sottolineato che rappresenta un grande peso personale e un ostacolo al suo lavoro di sensibilizzazione e di pace.
Aggiunge inoltre che, anche se un permesso speciale fosse concesso, la realtà dei controlli e delle restrizioni in vigore rende quasi impossibile muoversi liberamente nel territorio palestinese. Questo rende l’azione di presenza e supporto sul campo sempre più difficile per chi cerca di documentare e reagire a quanto accade nei territori sotto conflitto, confermando una stretta quasi totale attorno a chi osa contestare le scelte delle autorità israeliane.
Ultimo aggiornamento il 12 Agosto 2025 da Luca Moretti