La morte per overdose di un uomo a Tivoli, avvenuta il 30 luglio dello scorso anno, ha portato alla luce una vicenda complessa fatta di droga, complicità e responsabilità all’interno della pubblica amministrazione. Solo ora emerge il quadro completo dell’inchiesta che ha coinvolto tre persone, tra cui un dipendente della Città Metropolitana di Roma Capitale.
La tragedia del 30 luglio e la dinamica dell’overdose
Il dramma si è consumato in poche ore nella mattinata del 30 luglio 2024. La vittima, un uomo di 66 anni già noto alle forze dell’ordine come assuntore abituale e con problemi di salute evidenti, si è recato nell’appartamento di un conoscente settantaquattrenne insieme a un altro amico coetaneo che lavora come cantoniere per la Città Metropolitana. Secondo gli accertamenti dei carabinieri della compagnia di Tivoli, proprio questi due ultimi soggetti hanno procurato l’eroina consumata quella mattina.
L’acquisto della sostanza a ponte di nona
Per ottenere la sostanza stupefacente hanno raggiunto Ponte di Nona dove si trovava una piazza nota per lo spaccio. Il dipendente pubblico ha guidato l’acquirente fino al pusher gambiano trentenne usando addirittura l’auto istituzionale dotata del lampeggiante. Questo mezzo ufficiale sarebbe stato impiegato con lo scopo preciso d’ingannare eventuali controlli delle forze dell’ordine durante le operazioni illegali.
Overdose fatale a tivoli
Una volta tornati a Tivoli i tre hanno assunto insieme l’eroina nell’abitazione del settantaquattrenne. La dose somministrata all’uomo malfermo ha causato una rapida crisi da overdose fatale.
Il ruolo centrale del cantoniere nello spaccio locale
L’indagine coordinata dalla procura locale ha rivelato che il cantoniere non era solo complice occasionale ma aveva instaurato da tempo una rete stabile nel mercato illecito delle droghe leggere e pesanti nelle zone tra Ponte di Nona e Tor Bella Monaca.
Secondo quanto emerso dagli atti processuali questo dipendente pubblico fungeva da intermediario abituale fra i pusher locali e gli acquirenti più assidui offrendo garanzie agli scambi in cambio spesso anche solo qualche dose personale. Un comportamento ripetuto che dimostra come abbia sfruttato sistematicamente la sua posizione lavorativa per favorire attività criminali.
Le prove raccolte documentano inoltre che spesso usava l’automezzo comunale non solo durante orari lavorativi ma anche per accompagnare clienti ai fornitori o consumare droga direttamente all’interno del veicolo stesso. Questa condotta configura reati gravi quali peculato oltre alla partecipazione attiva allo spaccio sul territorio metropolitano romano.
Arresti eseguiti e accuse formulate dalla procura
Al termine degli accertamenti giudiziari sono state disposte misure cautelari nei confronti dei tre protagonisti della vicenda: il pusher gambiano è sottoposto all’obbligo quotidiano di firma presso le autorità mentre sia il cantoniere sia il settantaquattrenne sono stati posti agli arresti domiciliari presso le rispettive abitazioni tiburtine.
Le imputazioni riguardano vari reati gravissimi quali morte come conseguenza d’altro delitto – riferito alla morte dovuta ad overdose – detenzione ai fini dello spaccio ed infine peculato legate all’utilizzo improprio dell’automezzo istituzionale nella gestione degli affari illegali legati alle droghe.
La posizione ufficiale della città metropolitana
Il caso ha suscitato immediata presa posizione da parte delle autorità locali; Francesco Nazzaro capo gabinetto della Città Metropolitana Roma Capitale ha annunciato provvedimenti disciplinari severissimi contro chiunque risulti coinvolto in tali fatti:
“Di fronte ad accuse così gravi adotteremo senza indugio misure disciplinari rigide – queste le sue parole – garantiamo piena collaborazione con Procura e forze dell’ordine.”
La vicenda mette sotto i riflettori questioni delicate relative al controllo interno degli enti pubblici ed evidenzia rischiosi intrecci fra lavoro pubblico ed attività criminale nel tessuto urbano romano circostante Tivoli.