Le lavoratrici e i lavoratori degli stabilimenti Dana di Arco e Rovereto portano avanti da due settimane uno sciopero intermittente, caratterizzato da presidi e astensioni dal lavoro in diversi reparti. La protesta nasce dalla mancata risposta soddisfacente dell’azienda alle richieste avanzate dalle organizzazioni sindacali, che riguardano in particolare il contratto integrativo, la stabilizzazione dei precari e la tutela dell’occupazione. La situazione si presenta ancora bloccata, con forti preoccupazioni anche per i piani di delocalizzazione annunciati dalla multinazionale americana.
Sciopero intermittente e forte adesione nelle fabbriche di arco e rovereto
Da metà giugno 2025, i dipendenti Dana negli stabilimenti di Arco e Rovereto scioperano quotidianamente a singhiozzo, fermando la produzione per almeno un’ora, a volte più. I presidi davanti ai cancelli sono diventati un appuntamento quasi fisso, che testimonia un livello di coinvolgimento molto alto tra i lavoratori. In certi reparti l’attività è completamente cessata, con impatti evidenti sulla produzione.
Questa mobilitazione nasce da uno stato di agitazione aperto già a novembre dell’anno scorso, dopo che la multinazionale ha risposto alla piattaforma sindacale di rinnovo del contratto integrativo con una controproposta giudicata priva di contenuti concreti e provocatoria. Sono passati mesi di incontri senza sviluppo e oggi, tre quarti d’anno dopo, la situazione resta ferma. Le organizzazioni sindacali coinvolte, Fiom Cgil, Fim Cisl e Cub Trento, denunciano l’immobilismo dell’azienda e la mancanza di dialogo utile.
Il rifiuto della controparte di affrontare i nodi più importanti fa crescere la frustrazione e ha spinto i lavoratori a scendere in sciopero. L’adesione alta è un segnale forte della volontà di non accettare ulteriori rinvii o soluzioni fittizie, specie in un contesto dove la sicurezza sul lavoro e la tenuta occupazionale sono in discussione.
Emergono le criticita legate a stabilizzazione e inquadramenti
Le tensioni principali riguardano il mancato riconoscimento dei livelli corretti di inquadramento, un punto su cui la società americana fa muro, giustificando così il diniego con limitazioni imposte dalla proprietà estera. Il paradosso segnalato dai sindacati è che lo stesso vincolo, secondo quanto ammesso, non riguarderebbe i dirigenti. Questa disparità ha alimentato un clima di scontro perché mette in discussione l’equità di trattamento e i diritti dei dipendenti più operativi.
Un’altra questione importante riguarda la gestione del personale precario. L’accordo di bacino, valido per tutto il territorio del Trentino, prevede da tempo la stabilizzazione di chi lavora con contratti a termine per almeno dodici mesi, garantendo loro diritto di precedenza e assunzione diretta entro tre anni. Dana negli ultimi mesi ha invece interrotto numerosi rapporti di lavoro proprio con lavoratori vicini alla stabilizzazione, usando criteri che i sindacati descrivono come arbitrarî e lesivi.
Questa politica contrasta con quanto previsto dall’accordo, che dovrebbe proteggere i precari da licenziamenti ingiustificati e costruire un percorso stabile nella realtà produttiva territoriale. La pratica aziendale ha provocato malessere, aumento dello stress e preoccupazioni sulla salute tra i lavoratori, a causa delle condizioni lavorative e del clima esasperato.
Salarizzazione e ricchezza prodotta: le richieste delle organizzazioni sindacali
La piattaforma sindacale punta a un’inversione netta di rotta in materia di lavoro precario, richiedendo la reinternalizzazione delle attività esternalizzate e la drastica riduzione di contratti a termine o somministrati. La domanda è anche di aumenti salariali che tengano conto della perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione, un problema di lunga durata che pesa concretamente sulle famiglie dei dipendenti.
I sindacati contestano che l’azienda realizzi record di utili, senza che i lavoratori ne vedano un adeguato ritorno economico. Viene quindi chiesta una redistribuzione più equa della ricchezza prodotta all’interno delle fabbriche, riconoscendo nelle buste paga un miglioramento in linea con i profitti realizzati. Il mancato riconoscimento dei livelli professionali rappresenta un ulteriore elemento di disagio, perché limita anche la possibilità di crescere economicamente e professionalmente.
Il rifiuto aziendale, motivato da vincoli esterni ma che sembrano non applicarsi in modo uniforme, alimenta tensioni che non si riducono solo all’aspetto economico. Gli operai percepiscono una disparità ingiusta che mina il rapporto di fiducia e la motivazione sul posto di lavoro.
Incertezza sui piani di delocalizzazione e impatti sul futuro delle fabbriche
Il tema più delicato riguarda però il rischio di una significativa delocalizzazione della produzione. Dana ha annunciato che buona parte delle attività dello stabilimento di Rovereto verranno trasferite in Messico entro il secondo trimestre del 2026. Finora non sono arrivate concrete evidenze degli impegni presi dall’azienda per individuare produzioni alternative da mantenere in Italia.
Questa prospettiva genera preoccupazioni profonde tra i lavoratori e le organizzazioni sindacali, perché mette a serio rischio l’occupazione locale. Il trasferimento all’estero colpisce non solo quanti saranno direttamente coinvolti, ma tutto l’indotto e la comunità territoriale in cui operano stabilimenti con una lunga storia.
Il conto alla rovescia, con la scadenza prevista tra meno di un anno, accentua la tensione. Le lavoratrici e i lavoratori, oltre a rivendicare diritti e salari, chiedono chiarezza sul proprio futuro e risposte certe da una multinazionale che finora ha lasciato troppi dubbi aperti.
L’agitazione in corso agli stabilimenti Dana di Arco e Rovereto resta un fatto centrale per la provincia di Trento. Le prossime settimane saranno decisive per capire se dialogo e mediazione riusciranno ad evitare un conflitto più ampio o se la protesta continuerà ad animare le giornate di chi lavora nelle fabbriche.
Ultimo aggiornamento il 18 Luglio 2025 da Andrea Ricci