Il Patto dei salari siglato dai sindacati Cgil, Cisl e Uil in Trentino rappresenta un passo importante nel confronto tra lavoratori, imprese e istituzioni. L’intesa riguarda un investimento complessivo di 638 milioni di euro e prevede novità significative sulla contrattazione territoriale e aziendale, politiche per i giovani e incentivi per le imprese. Tuttavia, restano alcuni nodi aperti su temi come l’Irap, il welfare e il settore della sanità privata.
Il patto dei salari come leva per rafforzare la contrattazione territoriale e aziendale
I sindacati del Trentino, attraverso le parole di Andrea Grosselli della Cgil, hanno definito il Patto dei salari come un punto di partenza, non un traguardo finale. Il documento impegna le parti a rilanciare la contrattazione sia a livello territoriale che aziendale. Michele Bezzi, segretario della Cisl del Trentino, ha spiegato che questa forma di contrattazione rappresenta l’unica vera possibilità per i sindacati di esprimere una propria autonomia e trattare direttamente con le imprese. Prima dell’accordo, ha ricordato Walter Largher della Uil, i negoziati territoriali erano facoltativi per le aziende, ma adesso diventano obbligatori. Questo passaggio segna una svolta nell’organizzazione del lavoro locale, introducendo una dimensione più condivisa e vincolante per le imprese, soprattutto in relazione alle condizioni economiche e salariali dei lavoratori.
Il Patto mira a creare uno spazio stabile dove le parti sociali possano mantenere un dialogo costante, rafforzando la contrattazione come strumento per superare il ritardo e le difficoltà della zona in tema di retribuzioni e tutele lavorative. L’accordo consente di mettere in campo interventi mirati sulle diverse realtà produttive, adattando gli interventi nei diversi settori economici del Trentino, in modo più puntuale rispetto ai tradizionali rinnovi contrattuali nazionali o regionali.
Focus sul lavoro giovanile e incentivi per le imprese trentine
Tra i temi centrali del Patto c’è la questione della permanenza dei giovani nel mercato del lavoro locale. Le parti sottolineano che il salario non è l’unica ragione per cui i giovani lasciano il Trentino. Michele Bezzi ha richiamato l’importanza di migliorare non solo le retribuzioni, ma anche le possibilità di crescita professionale e l’offerta di servizi legati al lavoro. Alla base c’è la consapevolezza che i giovani cercano prospettive di carriera adeguate e condizioni di vita soddisfacenti che vanno oltre il puro compenso economico.
Walter Largher ha invece posto l’accento su un settore economico caratterizzato da presenza di molte piccole imprese, poche delle quali lavorano in ambiti ad alta intensità tecnologica. I dati mostrano che solo una su cinque opera in settori con forte innovazione. Il Patto quindi contempla anche incentivi alle imprese per stimolare gli investimenti tecnologici. Il segretario della Uil ha ricordato che in Trentino gli investimenti pubblici nelle aziende sono doppi rispetto alla media nazionale ma ritiene necessario che anche le imprese facciano la loro parte, investendo nei propri processi produttivi. Questa combinazione potrebbe accelerare la competitività del territorio e rafforzare la sua capacità di attrarre e mantenere forza lavoro qualificata.
Criticità e richieste non accolte: irap, sanità privata e welfare ancora in discussione
Non mancano però punti critici nel Patto sottoscritto. Uno riguarda l’Irap, cioè l’imposta regionale sulle attività produttive. Andrea Grosselli ha espresso la preferenza per una soluzione simile a quella adottata dalla Provincia di Bolzano dove gli incentivi fiscali sono subordinati all’obbligo delle imprese di garantire aumenti salariali ai propri dipendenti. Questo criterio invece è assente nel Patto del Trentino, elemento che i sindacati giudicano un limite.
Altro nodo irrisolto riguarda il settore della sanità privata, dove la contrattazione nazionale è ferma da oltre un decennio. La Cisl, tramite Bezzi, ha fatto notare che la richiesta di un integrativo territoriale non è stata accolta nell’accordo in via di definizione. Questo tema sarà portato avanti in altri tavoli di confronto per tentare di sbloccare una situazione che penalizza circa 7mila lavoratori.
Infine, il riferimento al welfare è ritenuto insufficiente. Secondo Grosselli, gli investimenti in servizi sociali rappresentano una forma concreta di sostegno al potere d’acquisto delle famiglie, in particolare quelle con redditi più bassi. Il sindacato continuerà a premere sulle istituzioni affinché aumentino gli stanziamenti su questo capitolo, visto che il welfare contribuisce anche alla coesione sociale e alla qualità della vita nel territorio.
Attesa per la reazione delle imprese e prospettive del patto firmato
Dopo il via libera dei sindacati, resta aperta la partita sul fronte delle imprese. Andrea Grosselli ha evidenziato che i lavoratori hanno dato prova di responsabilità accettando di firmare un patto parziale, sapendo che alcune richieste non sono state accolte. Ora la palla passa alle aziende, sulle quali si attende un atteggiamento altrettanto responsabile nei prossimi giorni quando il Patto sarà ufficialmente firmato.
L’intesa segna un passaggio importante perché introduce regole più stringenti per la contrattazione territoriale e avvicina salari, servizi e innovazione in un unico quadro di riferimento. Tuttavia, il processo negoziale dovrà continuare nei mesi a venire per coprire quelle questioni ancora aperte e riuscire a dare una risposta più ampia ai bisogni dei lavoratori e del territorio. La firma definitiva del Patto dei salari avvicina così un nuovo equilibrio fra sindacati e imprese, ma non chiude la discussione.
Ultimo aggiornamento il 25 Luglio 2025 da Luca Moretti